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presente municipio, si vede e si giudica tutto il cammino percorso in 39 anni. Da uno stato-discusso di 697 370 ducati, a un bilancio di 23 milioni e mezzo di lire, quale cammino invero e quante opere compiute! Dal primo debito del 1861, di circa 15 milioni, contratto per le vivaci insistenze del luogotenente Cialdini, a quelli posteriori che raggiunsero i 160 milioni, quante occasioni di confronti e di studio, di orgogli e forse anche di pentimenti! Certo la città è ben altro di quella che era nel 1860. Chi la ricorda allora quasi non la riconosce, tanto rapida n’è stata la trasformazione esteriore. Era forse provvidenziale che avvenisse una grande sventura, come il colera del 1884, per procedere al cosiddetto risanamento, che, in nome della santa giustizia e dell’onore italiano^ lo Stato rese possibile, concorrendovi con cento milioni, senza i quali la città sarebbe rimasta, nei suoi quattro quartieri più popolosi, la stessa che fu ai tempi degli Spagnoli e dei Borboni: teatro d’immondizie materiali e morali e di epidemie permanenti. Le forze economiche della città, pur rendendo otto volte maggiore il bilancio comunale, mercè nuovi e gravi balzelli e quasi continui debiti, non sarebbero bastati a risanare Napoli. Per quanto lo sventramento non risponda a tutto ciò che se ne attendeva, e sia riuscita piuttosto una mediocre trasformazione edilizia che una buona opera sociale e morale, è sempre un’opera santa, e fra altri dieci anni, se sarà compita, collocherà Napoli non solo fra le più belle città del mondo, ma fra le più sane; e i due nomi che, nella numerosa serie dei sindaci, vanno particolarmente ricordati per le loro audacie e per le grandi cose che compirono o iniziarono, son quelli di Guglielmo Capitelli e di Niccola Amore.