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sì infatuati del loro potere, che davvero è da ringraziare Dio che non facessero di peggio. Ma bisogna pur dire, in omaggio alla verità, che sul conto del Morbilli, del Campagna e di qualche altro, tra i più famigerati, non si disse mai che prendessero danaro per chiudere un occhio nell’esercizio del loro ufficio; più realisti del Re, ignorantissimi e volgarissimi, vedevano un pericolo politico in ogni fatto insignificante; odiavano i liberali, perchè nemici del Re e giustificavano ogni iniquità contro di loro, come compimento di dovere. " Quando sono entrato in carriera, diceva un giorno il Campagna a Tommaso Sorrentino, già deputato, prendevo dieciassette ducati al mese; ora il Re me ne dà più di cento, e lo devo ai liberali; e se non staranno tranquilli, io li perseguiterò a morte, e il Re mi accrescerà la paga„.

Pensiero plebeo, ma che confermava quanto ho detto: a difesa del Re tutto esser lecito, nulla trascurabile. Eppure, nonostante tanto eccesso di potere, la polizia borbonica in quegli anni che furono i maggiori della sua potenza, si rivelò, come polizia politica, inferiore alla sua fama: era in sostanza polizia più vessatrice che abile. Alcune settimane prima dello sbarco di Sapri, Pisacane potè venire a Napoli, prendere accordi coi suoi amici e ripartire per Genova; Agesilao Milano potè entrare nell’esercito in cambio di suo fratello, pur avendo combattuto nelle bande insurrezionali calabresi il 1848; nè la polizia riusci ad arrestare i due che riteneva suoi complici, e molto meno a scoprire gli audaci, che affissero alle cantonate di Toledo un preteso decreto sovrano, che concedeva la Costituzione e accordava piena amnistia ai detenuti politici. Per quanto le cospirazioni politiche fossero inconcludenti, si cospirava; le relazioni fra i liberali e i condannati chiusi a Santo Stefano, a Procida e a Montesarchio e gli emigrati in Piemonte non furono mai interrotte; e nonostante la ridicola sorveglianza sui libri proibiti, questi, con mille astuzie, entravano nel Regno. Se alcuni capi della polizia non si vendevano, gli agenti minori erano però uno sciame di ladroni, e perciò lo zelo dei capi perdeva efficacia, sempre che, per tradursi in atto, occorreva l’opera dei subalterni.

Anche sulla polizia borbonica si fece il romanzo. Come emanazione di governo assoluto, che aveva paura dell’ombra sua, in un paese eccitabile e ciarliero, nel quale le classi infime