Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) I.djvu/94


— 78 —

Leopoldo Chiari, ispirò al marchese di Caccavone questo spietato epigramma:

Soffre di pietra, spasima
E c’è a sperar che muoja
Don Ferdinando Troja ....
Nè per scoprir l’origine
Del male, il buon dottore
Chiari granchè fatica:
La cosa è chiara, il core
Gli è sceso alla vescica.

Ferdinando Troja era ministro dall’agosto del 1849, cioè dall’inizio della reazione, quando Ferdinando II, licenziati il principe di Cariati, Bozzelli, Ruggiero, Gigli e Torella, ultime larve di ministri costituzionali, nominò, in loro vece, degli assolutisti senza paura, come il Fortunato, il Longobardi e il Peccheneda, che fu promosso da prefetto a direttore di polizia. Ritenne del ministero Cariati i due militari, Ischitella e Carrascosa, che troviamo al loro posto negli anni dei quali discorro. Allora ministri e direttori duravano quasi a vita. Senza l’incidente di Gladstone. Fortunato sarebbe rimasto, chi sa per quanti anni, presidente del Consiglio e ministro degli esteri, perchè il Re amava poco di vedere facce nuove. La indifferenza più apatica fu la caratteristica di quasi tutti quei ministri e direttori, che governarono Napoli e le provincie negli ultimi dieci anni. Alcuni, pur sapendo che il Re diffidava di loro, non sentivano il dovere di andarsene; anzi rimanevano, lasciando andare le cose per la loro china. Erano in maggior numero i direttori che non i ministri, perchè, sia che la dignità ministeriale gli desse fastidio, sia che lo movesse spirito di economia, Ferdinando preferiva i direttori ai ministri; a lui pareva di averli più soggetti e li pagava meno. Un direttore prendeva 160 ducati il mese e un ministro 500. Un solo de’ primi ebbe la fortuna di diventare ministro, nel febbraio del 1856, e fu il Murena. Nè il Peccheneda, che molto ci teneva, ottenne mai quel posto; nè il mite Bianchini, neppur dopo che successe al Mazza e cumulò, sino alla morte di Ferdinando II, le due direzioni dell’interno e della polizia.


Era sindaco di Napoli, dal primo gennaio 1848, don Antonio Carafa di Noja, che il Re chiamava, per celia, Torquato Tasso,