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costui tentasse di tornare nelle grazie del Re, del cui cuore pareva che avesse tenuto, per undici anni, ambo le chiavi. Pareva, perchè di quel Federigo nessuno fu mai il Pier delle Vigne. Al Corsi, Ferdinando II usò lo stesso trattamento che aveva usato all’abate Giuseppe Caprioli, suo segretario particolare dal giorno in cui ascese al trono. Nella questione per gli zolfi di Sicilia, caddero in disgrazia il principe di Cassaro, ministro degli affari esteri, e il Caprioli. Questi fu nominato vicepresidente della Consulta e tenne l’ufficio sino al 1848, quando venne collocato in riposo. Il Re non si ricordò più di lui, che si spense a Portici nella più assoluta oscurità. Al Corsi usò soltanto la misericordia di firmargli un decreto, che portava la urbana formola: è promosso a consultore di Stato, mentre col Fortunato fu inesorabile, anche per la forma del decreto, più su riportata. Ricordando le origini giacobine di lui, lo sospettò persino capace di aver tenuto mano alla pubblicazione del Gladstone, tanto gli pareva inverosimile, dopo le confessioni del principe di Castelcicala, che fosse stato così balordo. Congedò il Corsi dopo una tremenda ammonizione che lo fece piangere a singhiozzi, e rifiutò di ricevere il Fortunato, nè volle più vederli.
Ferdinando Troja era fratello di Carlo, il celebre storico dei Longobardi, che fu presidente del ministero del 3 aprile, caduto il 15 maggio. Questi fratelli avevano indole affatto diversa e studii diversissimi. Ferdinando era ben infarinato di latino e di giurisprudenza e aveva fama di buon magistrato; non credeva a libertà e a progresso; assolutista e municipale, reputava per lui un dovere servire il Sovrano senza discutere, e anzi senza farsi lecito di pensare neanche. Parlava ordinariamente il dialetto, e chiacchierando aveva per intercalare: vuie che dicite? Per lui il mondo si era fermato al 1789, e il Regno delle Due Sicilie non era compreso nell’Italia. Scaltro e forse scettico in fondo, il Troja copriva la scaltrezza con un manto d’ipocrisia untuosa; onde, avendo anche l’abitudine di tenere il capo sempre chino a sinistra, il Re lo chiamava Sant’Alfonso alla smerza, cioè Sant’Alfonso alla rovescia, perchè Sant’Alfonso de’ Liguori, del quale il Re era devotissimo, è dipinto con la testa inclinata sulla spalla destra. Il Troja era ritenuto uomo senza cuore. Ammalatosi di mal di pietra e curato dal chirurgo