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Statella, marchese di Spaccaforno, Giuseppe Castrone, prefetto di Messina, e Francesco Mistretta, procuratore generale di quella Gran Corte Civile. Cassisi tentò di far piazza pulita di quanti erano funzionarli devoti al principe di Satriano. Don Antonino Scibona fu chiamato a Napoli, ed in sua vece destinato a Palermo don Gaetano Coffaro, il quale, dopo il 1860, fu prefetto nel Regno d’Italia. Lo Scibona ebbe ordine di trasferirsi immediatamente nella nuova residenza e giuntovi, passarono venti mesi prima di essere ricevuto da Cassisi, tanto poteva in quest’uomo l’avversione per tutti coloro che al principe di Satriano erano rimasti devoti. Carlo Ferri tornò alla magistratura, e Domenico Ventimiglia dovè molto lavorare di astuzie, per non perdere la direzione del Giornale di Sicilia.

Dei nuovi personaggi ufficiali, il marchese di Spaccaforno era la individualità, più spiccata. Primogenito del principe di Cassaro, e per breve tempo, dopo la morte del padre, principe di Cassaro, egli mori, dopo il 1860, non ancora sessantenne. La sua signora donna Giovanna Moncada di Paternò, presente principessa di Cassaro, vive a Napoli nel sontuoso palazzo a Trinità Maggiore. Lo Spaccaforno aveva cominciato la carriera, giovanissimo. Era stato, prima del 1848, intendente a Salerno, a Potenza e a Teramo. Mandato in quest’ultima città nel 1837, quando avvennero i moti liberali di Penne, vi si mostrò zelante e vi lasciò tristo nome. A Salerno perdette un occhio, perchè un magistrato, nell’atto di baciargli la mano e di raccogliere per terra una supplica, lo urtò malamente nella faccia. Per la rivoluzione non si era riscaldato, perchè non la credette duratura, e solo fu maggiore della guardia nazionale di Palermo e poi Pretore, aiutando nei due uffici la restaurazione borbonica. Compiuta questa, fu intendente di Palermo. La sua famiglia era la più attaccata ai Borboni, e tra le famiglie signorili dell’Isola, la più beneficata. Spaccaforno aveva spirito intollerante e scettico, ma non era privo di cultura generale; anzi, dati i tempi, poteva questa dirsi discreta. Liberale nel discorrere, ma assolutista di tendenze, presumeva molto di sè e aveva per il genere umano un senso di noncuranza, di disprezzo o di paura, secondo il caso. Falsissimo di carattere, simulava e dissimulava perfettamente, e non erano spiegabili alcune strane contradizioni dell’indole sua. Diceva vituperii di Maniscalco, ma consentì ad essergli collega nel go-