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Io avea conosciuto da poco il cavalier Cassisi, e lo reputava uomo laborioso ed energico. Dopo la presa di Messina, lo chiesi al Re nella qualità di commessario civile; ma egli non volle avventurarsi nell'incertezza, e ricusò. Al diffinitivo organamento del governo lo proposi ministro per gli affari di Sicilia; parendomi che la energia e la operosità fosser requisiti necessarii per chi dovea sedere nei consigli del Re, e tutto solo sostenere i rapporti della Luogotenenza. Il Re avea difficoltà, ma mi tornò facile il vincerle.

Dopo conseguita la nomina a ministro del Cassisi, mi accorsi che quest’atto sovrano fu poco applaudito, soprattutto in Palermo, per precedenti, che non erano una raccomandazione in quella città. Seppi in fatto che il Cassisi e la cittadinanza si odiavano di cuore reciprocamente, a causa di certe vendette perpetrate a suo danno, reputandosi egli fautore e lodatore delle novità fatte nell'anno 1838, cioè, la soppressione della Segreteria di Stato in Sicilia, l'introdotta promiscuità degli ufficii, l'abolizione delle compagnie d'armi, ecc. Molto dicevasi a suo carico, ed i più. indulgenti osservavano il mancare in lui le qualità di uomo di Stato.

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Egli, non volendo smettere l' abito di giudice istruttore, e di Procuratore Generale criminale, si fe' maestro di perenne, sospettosa inquisitoriale investigazione. Erasi sempre nascosto nel pericolo, ed ora dal suo gabinetto, facendo il dottrinario come uno scolaro, esercitava il facile ufficio di censore, niente curando gl'imbarazzi e le difficoltà di chi operava.

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E finì con l'immischiarsi in tutti gli affari, anche giudiziarj, facendo comprendere ai pubblici funzionari che da lui dipendeva il loro destino. Dava premio agli adulatori, impunità ai cattivi, sostegno agl'insubordinati, persecuzione agli uomini indipendenti; ma quando i perseguitati stanchi cedevano, abbiosciavansi, e mettevansi a sua disposizione, ottenuto il suo scopo, cantava facilmente la palinodia, e dallo sdegno passava alla protezione. Egli mirava ad acquistare influenza e dominazione, non bastandogli quella che legittimamente derivava dalla natura del suo ufficio; e certamente non potrei io negare la non invidiabile sua grande abilità, con la quale è riuscito ad affievolire il potere della Luogotenenza con danno del paese e della Monarchia, ed a fondare quel dualismo, del quale indarno vuol scusarsi nel suo libro.


Questa memoria, che è un terribile atto di accusa contro il Cassisi, fu dal Filangieri scritta nel 1855, in confutazione del libro del Cassisi: Atti e progetti del ministero per gli affari di Sicilia, pubblicato in quell’anno e che è davvero povera cosa, ma oggi divenuto rarissimo.1 Più serio è il libro del Bracci su riferito, ispirato chiaramente dallo stesso Cassisi e da quel mondo siciliano, che era a Napoli nel Ministero e in Corte e che non

  1. Archivio Filangieri