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delle chiese suonavano a festa. All’ingresso era stato costruito un arco trionfale, e piccole bandiere bianche coi gigli d’oro erano agitate dalla folla che ingombrava la via Forgiari. Attraversata questa via, il Re e i principi infilarono il Corso e andarono direttamente al duomo, dove furono ricevuti dal Capitolo, che cantò il Te Deum. Il Re restò seduto sul trono, coperto con gli antichi arazzi della famiglia Dominelli.

Dal duomo si andò alla Sottointendenza, addobbata con mobili mandati da casa Gagliardi, anzi il sottointendente De Nava, ignorando che il Re portasse seco, in apposito furgone, tutto ciò che serviva alla sua cucina particolare, richiese il Gagliardi anche di commestibili, ma il vecchio marchese rispose che questi egli li dava in casa propria e se ne faceva responsabile, ma fuori di casa, no. Il De Nava era zio del presente deputato. Dalle finestre il Re assistette allo spettacolo di fuochi pirotecnici e alle clamorose dimostrazioni dei cittadini di Monteleone. Il giorno appresso, visitò il collegio Vibonese, dove fin dall’aprile di quell’anno insegnavano i padri delle Scuole Pie. Ferdinando II non volle sedere sul trono, e rimase familiarmente in mezzo agli alunni, i quali, sull’aria del coro dei Lombardi, cantarono un inno, le cui strofe finivano col ritornello:

Di Fernando la fronte sublime
cingi, o Nume, di bella corona.

Per ricordare l’avvenimento, vennero murate sull’ingresso del collegio due lapidi in marmo, le quali nel 1860 furono stupidamente coperte e poi tolte addirittura.

Il Re ricevette alcune deputazioni e fra esse, quella del comunello di San Gregorio. E qui avvenne un altro incidente caratteristico. Avendo la deputazione chiesta la grazia di aumentare la sovrimposta fondiaria per un solo anno, al fine di riparare una strada e spendervi non più di 60 ducati, il Re si mostrò di ciò così irritato, che la commissione ne fu impaurita e lasciò di corsa la sala di ricevimento, suscitando le risa di lui e dei principi. Promise che avrebbe impiantato a Monteleone un orfanotrofio maschile; e l’orfanotrofio venne infatti inaugurato il 30 maggio dell’anno dopo, onomastico del Re, con un discorso del sottointendente De Nava, e un’elegante poesia di Carlo Massinissa Presterà, poeta monteleonese.