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domanda il Re stranamente sorpreso. “Zì Popò di Toscana„ risponde il principe. Il Re gli chiede altre notizie che Francesco non sa dare; le chiede alla Regina che cerca nasconderle, e s’imbarazza. “Chiamatemi Carafa„, grida allora, raccogliendo tutte le sue forze e dando un’ultima prova della sua energia. Carafa, quasi balbettando, lo informa di quanto era avvenuto, mostrandogli il dispaccio del ministro di Napoli a Firenze. Si narra che leggendo come il granduca avesse lasciato Firenze, solo per la paura di un pronunciamento, egli esclamasse: “C. . . ., è andato, e non è degno di ritornarvi„.

Quegli ultimi giorni di aprile, sino alla morte, furono il suo calvario. Progrediva il male e le notizie della guerra non erano quali egli le desiderava. Fu invaso da un senso di paura, che manifestava senza mistero. Si faceva venire in camera il principe ereditario, gl’indicava i veri e i falsi amici della dinastia e lo ammoniva a non transigere con la rivoluzione e a non prender partito con l’Austria, aspettando gli avvenimenti con tranquillità, perchè aveva il Papa per antemurale. Lo ammoniva su varie cose, ma principalmente di non risparmiare il suo zelo per la religione degli avi, e lo raccomandava particolarmente al cardinal Cosenza ne’ frequenti colloquii che avea con quel prelato.

Nei primi giorni di maggio, i medici notarono un nuovo peggioramento. Corrompendosi il sangue, si alteravano tutte le funzioni, si perturbava il sistema nervoso e la persona incadaveriva a vista d’occhio, rivelando tutti i fenomeni della rapida corruzione purulenta e della prossima fine. Un giorno, al chirurgo Capone, particolarmente destinato alle medicazioni, il Re rivolse una domanda caratteristica. Essendogli sempre rimasto il dubbio, che la punta della baionetta di Agesilao Milano fosse avvelenata, teneva costantemente sulla cicatrice una piccola pietra, che gli avevano fatto credere avesse la virtù, di un antidoto. Chiese al Capone che gli dicesse se anche quella cicatrice era venuta a suppurazione. Dopo averla osservata, Capone rispose che era intatta, e nel dargli questa risposta, ricordò coll’appellativo di infame il regicida. Il Re lo riprese: “Non si deve dir male del prossimo; io ti ho chiamato per osservare la ferita e non per giudicare il misfatto; Iddio lo ha giudicato, io l’ho perdonato, e basta così„. Il peggioramento si accentuò dal 10 al 18 maggio. Il bollettino del 13 fu di nuovo allarmante. La mattina del 16, i medici e