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le parole: “Non dimenticare di baciare per me la paffuta mano di Sua Maestà„. In uno dei primi giorni, quando ancora il Re conservava un resto del suo partenopeo stoicismo, Zezon gli lesse il brano della lettera del suocero, e il Re, guardando la mano diventata scarna, disse: “Paffuta, paffuta, quale ironia! la carne è ita, e non resta a pensare che allo spirito; Gaetanì, damme nu sigarro„.1 E avuto il sigaro, lo accese nervosamente, confessando che, solo nel fumo dei suoi prediletti sigari napoletani, trovava un conforto alle sue atroci sofferenze.
Non era iperbole quanto scriveva il Giornale Ufficiale, che il Re, benchè gravemente infermo, seguitasse ad occuparsi degli affari dello Stato. Il governo di esso era tutto accentrato in lui. Gli avvenimenti precipitavano. Antonini e Zezza scrivevano da Parigi e da Bruxelles non essere dubbio che l’Imperatore sarebbe sceso in Italia a far guerra all’Austria e, con maggior inviluppo di parole, scriveva le stesse cose Canofari da Torino. Si era alla metà di marzo. La Russia aveva proposto un Congresso per la questione italiana, e la Francia aveva dichiarato di accettarlo. Carafa assicurava il Re che il Congresso avrebbe sciolto il nodo; il ministro di Napoli a Pietroburgo mandava le stesse assicurazioni, ma Antonini manifestava i suoi timori che l’adesione della Francia al Congresso non fosse sincera. La Corte d’Austria faceva noto al Re di Napoli di aver aderito al Congresso, a patto che si limitasse alle cinque grandi potenze: Russia, Austria, Francia, Inghilterra e Prussia; di esser disposta a mutare i trattati italiani, ma rimanendo colla mano sull’elsa della spada. Cavour, dal canto suo, si agitava senza posa, affermando dover il Piemonte intervenire con voto deliberativo; non potersi discutere delle cose d’Italia senza il rappresentante della sola potenza, la quale, nel Congresso di Parigi, aveva sollevata la questione italiana, discutendola, da pari a pari, con i rappresentanti dei grandi Stati. L’atteggiamento del Piemonte molto impensieriva il Re di Napoli, che nel Piemonte vedeva fin dal 1848 il suo peggiore nemico, ne diffidava in tutte le maniere e non celava le sue diffidenze, sempre imprudenti e spesso volgari. Sebbene, per la pace del suo spirito affranto dal male, Ferdinando II inclinasse a un certo
- ↑ Gaetanino, dammi un sigaro.