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fu quella dei pappagalli. Cominciò ad averne due, poi quattro, poi salirono a dodici. La maggior parte del suo tempo era consacrata alla cura di quell’uccellame, compiacendosi a imparar loro parole tedesche, che, straziatamente ripetute, provocavano la sua ilarità: la sola ilarità alla quale fu vista abbandonarsi. Anche in compagnia dei suoi giovani e romorosi cognati, non mutò il suo contegno riservato, che molte volte pareva inconsapevolezza, infantile inesperienza della vita, o malinconia, anzi più spesso malinconia. Vi erano giorni, nei quali non usciva dal suo appartamento e non scambiava una parola col marito. Unica confidente, la Rizzo, alla quale e al Raucci, suo maestro di casa, uomo prudente e fedele, aveva più volte detto: “Se avessi le ali, me ne volerei al mio paese„. La Rizzo ne intendeva la ragione intima, ma non osava confessarla ad alcuno; era incerta sul partito da prendere anche perchè Ferdinando II peggiorava di giorno in giorno, nè a lei, cameriera, non camerista, era concesso giungere sino al Re; e molto meno si fidava della Regina, sapendo quali fossero i sentimenti di lei verso il duca e la duchessa di Calabria. Decise finalmente di confessar tutto al padre Borrelli, il quale, da uomo di mondo, le ingiunse il silenzio, lasciando a lui la cura di provvedere, e pare che non senza difficoltà ne fosse finalmente venuto a capo.
Tornato il Re a Caserta, cominciò il viavai dei ministri, dei direttori, dei grandi dignitari e delle principali autorità. Vi furono quasi immobilizzati il marchese Imperiale, cavallerizzo maggiore, e il duca d’Ascoli, somigliere del corpo, nonché i membri del gabinetto particolare del Re, sotto la direzione del colonnello Severino. Il principe di Bisignano, maggiordomo maggiore e il marchese del Vasto, primo cerimoniere, andavano e venivano. Dei ministri, si vedevano più sovente il presidente del Consiglio e i ministri della guerra e delle finanze; dei direttori, il Bianchini e il Carafa, ma con maggiore frequenza il Carafa, che vedeva ogni volta il Re da solo a solo. Egli riferiva le notizie dell’estero, e dava specialmente comunicazione dei dispacci di Antonini da Bruxelles e di Canofari da Torino, che erano i più interessanti. Spesso andava alla firma reale Gaetanino Zezon, il quale aveva sposata una figliuola del generale Carrascosa, e questi scrivendo al genero, chiudeva sempre le sue lettere con