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Il Re si mostrò sodisfatto da questa dimostrazione, ringraziò vivamente il rettore e i padri scolopii, si fece condurre innanzi il Tocco e lo carezzò sul viso. E poiché pioveva, protrasse la visita nel collegio e volle veder tutto. In una sala, ove erano raccolti alla meglio alcuni oggetti di storia naturale, il professore Tarantini, laico, mostrò al Re una collezione di conchiglie, ad una delle quali, che egli credeva aver per il primo scoperta, aveva dato il nome di Rotopea borbonica. Essendosi poi il Re avvicinato a una finestra, il padre Giovinazzi gli mostrò un piccolo campo sottostante, dicendo che quello era l’Orto Botanico; e il Re, sorridendo, gli rispose: "Mettetece ’e lattughe!„ Nelle ore pomeridiane del giorno 13 parti per Tiriolo sotto una pioggia dirotta. Vi giunse la sera e prese alloggio nel convento dei Cappuccini. Tiriolo era il quartier generale, e il Re vi si fermò un giorno e mezzo.
A Tiriolo passò in rassegna, la mattina del 15 onomastico della Regina, le due divisioni, compresa l’artiglieria, che per isbaglio dello stato maggiore, era stata destinata a Miglierina, ignorandosi che non vi erano strade, nè sentieri per andarvi. Bisognò tornare indietro, dopo non poche avarie. Il Re ne fu irritatissimo. E per celebrare anche con atti di clemenza, la festa di sua moglie, che aveva lasciata puerpera, udì divotamente la messa, detta da monsignor Berlingieri, vescovo di Nicastro, e fece molte grazie, anche a condannati politici. Commutò a Silvio Spaventa, a Gennaro Barbarisi, a Dardano e ai fratelli Leanza e Palumbo la pena di morte nell’ergastolo, e ad Antonio Scialoja la reclusione in esilio perpetuo dal Regno. Distribuì molte elemosine, e prendendo commiato, verso mezzogiorno, dai frati Cappuccini, consegnò al guardiano cento ducati per i bisogni del convento. Acclamato dalla popolazione e seguito da un drappello di guardie d’onore e da uno squadrone di lancieri, partì col proposito di arrivare la sera a Mongiana, o almeno
fortuna di conoscere in Pizzo, nel maggio scorso. Questo bravo vecchio, che ha una memoria portentosa, mi ha scritto una lunga relazione di quel viaggio. Altre notizie di Catanzaro mi furono fornite dal conte Ettore Capialbi, il lodato scrittore della Fine di un Re, e da Vincenzo Parisio, la cui cultura è pari soltanto alla caratteristica e geniale pigrizia. Questi miei cari amici erano convittori nel collegio di Catanzaro in quell’anno.