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sormontato dalla corona regale, e nel mezzo due ritratti incorniciati delle LL. MM. E vi ardevano davanti, nelle prime ore della sera, otto grandi torce a vento. Lo spettacolo durò quasi un mese, a capo del quale il povero Ferrara, vide una sera andare in fiamme tutto l’apparato, per il forte vento che spirava. E questo fu l’incidente più comico di quel periodo a Trani. Gli altri magistrati, che allora vivevano con rappresentanza e carrozza, guardavano con un senso d’invidia lo sfarzo del giudice e non poco godettero del caso capitatogli. Ferrara aveva per i suoi versi una fama non dissimile dall’Ingarriga e dal Fenicia; ma, tranne questa debolezza, era un brav’uomo ed è morto da poco, vecchissimo.


In Napoli, nonostante le notizie ottimiste del foglio ufficiale e il silenzio mantenuto sulle vere condizioni del Re, cominciava a diffondersi la persuasione che si trattasse di cosa molto grave. Gli stessi membri della famiglia reale, rimasti là, non erano tranquilli. Il conte di Siracusa volle recarsi di persona a vedere il fratello; e, insieme col capitano Ayala, suo cavaliere di compagnia, giunse a Bari alle 7 pomeridiane del giorno 16. Alloggiò al terzo piano del palazzo dell’Intendenza. Vide prima la Regina, poi Ramaglia e Leone, che ho informarono di ogni cosa tutto, e lo pregarono di non mostrarsi quella sera stessa al Re, per non allarmarlo. Occorreva anzi prevenirlo con qualche studio. Il conte di Siracusa lo vide, quindi la mattina seguente; e si racconta che, scendendo le scale per recarsi nell’appartamento di lui, ordinasse alla sentinella, posta sul pianerottolo, di non gridare il saluto militare. L’incontro dei due fratelli fu commovente. Si abbracciarono a lungo, e il Re apparve a don Leopoldo più disfatto di quanto questi avesse immaginato. Parlarono, da soli a soli, parecchio tempo, ed il conte usci con gli occhi gonfi e visibilmente triste dalla camera del fratello. Durante il giorno, visitò la basilica di San Nicoola, il porto, il castello, il teatro, e fatta una corsa a Carbonara e a Ceglie, riparti la mattina del 18.

La lunga permanenza in Bari degli arciduchi Guglielmo e Ranieri, che i loro legami di parentela col Re non riuscivano interamente a giustificare, e la breve apparizione del conte di Siracusa, accrebbero i sospetti che i principi imperiali avessero