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fessava che il Re gli aveva detto: “Guagliò, sti scherzi non se fanno; so scherzi ’e lazzaro„.1

Venuta la sera, sulla piazza di fronte al palazzo, brulicante di popolo e sfarzosamente illuminata, come tutta la città, s’innalzarono palloni in gran numero e di forme svariatissime, tra uno strimpellare assordante di bande musicali. Più tardi, nella stessa piazza, da un coro formato di dilettanti, tutti con ceri accesi in mano, fu cantato, in onore degli sposi, un inno composto da Giulio Petroni e musicato dal maestro Curci, sull’aria dell’inno borbonico. All’Intendenza ci fu gran pranzo ufficiale, nel quale furono serviti i tradizionali maccheroni di zita, preparati da Vito di Dio. Dopo il pranzo, il duca e la duchessa di Calabria andarono ad augurare la buona notte al Re, che li abbracciò entrambi, e si ritirarono nelle loro stanze. La camera da letto degli sposi era la seconda, a destra del gran salone, la stessa dove alloggiò Re Umberto, l’ultima volta che stette a Bari. Mandarini, appena fu ufficialmente certo che la sposa sarebbe sbarcata a Bari, aveva chiamato il sindaco Capriati, per ordinargli di allestire in modo conveniente la camera nuziale. Il Capriati, che, proprio in quei giorni, avea acquistato un ricco talamo nuziale per una sua nipote, mandò quel talamo all’Intendenza. Biancherie e materasse vennero date da suo fratello Enrico. Sino alla camera da letto, gli sposi furono accompagnati dalla Regina, che li lasciò sulla soglia, dopo averli baciati. Nella camera nuziale non entrò, col duca e la duchessa di Calabria, che donna Nina Rizzo; anzi, veramente, Francesco non entrò, ma attese, timidissimo, nella camera precedente, che la Rizzo gli annunziasse che la sposa si era messa a letto. Francesco continuava a mostrarsi stranamente confuso, e passò il tempo a recitar preci, sino a che gli parve, che Maria Sofia avesse preso sonno, nè prima di allora, chetamente per non destarla, andò a letto. E così fu per tutto il tempo che stettero a Bari, il che spiega forse la tristezza di lei, il suo desiderio di svaghi d’altro genere, e il bisogno, che sentiva qualche volta di piangere.


Le commozioni di quel giorno e l’abbattimento morale del Re,

  1. Ragazzo, questi scherzi non si fanno; sono scherzi da lazzaro.