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fra suocero e nuora, una simpatia vicendevole. Uscita dalla camera del Re, la sposa si ritirò nel suo piccolo appartamento, per apparecchiarsi alla solenne cerimonia della benedizione nuziale, fissata per le due. Maria Teresa l’accompagnò nelle stanze a lei destinate, che erano le due a destra del salone con l’altra più piccola, quella d’angolo, trasformata in camera da toilette. Aiutata da donna Nina Rizzo, mutò l’abito da viaggio in una ricchissima veste bianca, guarnita di merletti preziosi e con grande crinolina, calzò lunghi guanti bianchi e si attaccò al capo un tralcio di fiori d’arancio, al quale era raccomandato un lungo velo, che nascondeva i suoi splendidi capelli e scendeva sino a terra.


Alle due, tutto era pronto per la cerimonia. Nel salone del palazzo era stato innalzato un altare con l’immagine della Vergine Immacolata, e un trono in velluto, ricamato in oro per i Sovrani. Ai lati del trono, le sedie per i principi e gli arciduchi. Le autorità, i vescovi, i personaggi ufficiali stavano tutti al loro posto. Solenne il momento, ma non tutti eran composti a gravità, anzi molti ridevano, studiandosi di non farsi scorgere. Che cos’era avvenuto? L’irrequieto conte di Caserta aveva trovato modo di appiccare sull’uniforme di un alto funzionario una coda di carta, e questo spettacolo, naturalmente, suscitava il riso di tutti. Nessuno osava togliere la coda, e fu un gentiluomo, che, accortosene, abilmente la strappò senza che quegli se ne accorgesse. Entrata nel salone la famiglia reale, tranne il Re, gli sposi furono fatti sedere su due sedie, collocate di fronte all’altare. Monsignor Pedicini, assistito dai canonici metropolitani e dai palatini, celebrò la messa, fece un discorso d’occasione agli sposi e li benedisse con l’acqua santa. Poi fu cantato il Te Deum, durante il quale le navi da guerra fecero le loro salve, e le bande musicali suonarono l’inno borbonico. Compiuta la funzione, alla quale conferi maggiore solennità la benedizione papale, mandata per telegrafo da Pio IX, la famiglia reale rientrò nei suoi appartamenti, e Ferdinando II, cui era stato riferito il comico incidente, chiamato il conte di Caserta, lo rimproverò aspramente e gl’inflisse tre giorni di chiusura in camera, che poi, a intercessione della madre, ridusse a uno solo. Il ragazzo raccontava egli stesso la storiella della coda e con-