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mostrata una pietosa premura per Gioacchino Murat, da don Luigi de Sanctis e dal canonico Greco, poichè un prete ci voleva. E qui lascio la parola all’Alcalà. "Mentre eravamo in attesa di essere ricevuti dal Re, il maggiore Piazzini della gendarmeria, mio intimo amico, il quale comandava il plotone di scorta, mi chiama da parte e mi disse tutto spaventato: "Sai che avvenne ieri a Musitano per l’affare della barba? Ti consiglio quindi toglierti subito la piccola mosca che hai, perchè potrebbe spiacere al Re, benchè forse a te non direbbe nulla, essendo tu un particolare„. Corsi nella stanza del colonnello Nunziante e dissi al suo cameriere: "Angiolo, dammi un rasoio, e tieni in mano lo specchio„. Angiolo ubbidì e io, in un attimo, mi tolsi la moschina e tornai al mio posto, nel momento che eravamo invitati dal Re ad entrare. Sua Maestà stava diritto in mezzo alla sala, e a due passi da lui il principe ereditario a destra, e il conte di Trapani a sinistra. Offrendo a S. M. gli omaggi di Pizzo fedelissima e pregandolo di onorare la città di una sua visita, il Re ci rispose cortesemente: "Mi dispiace, signor Alcalà, dell’incomodo che vi siete dato di venire fin qui, e mi dispiace pure che maggiore incomodo dovremo dare al vostro paese, avendo deciso d’imbarcarci tutti colà per Napoli„.

Fu chiamata poi la deputazione di Cotrone. Questa era formata dal barone Alfonso Barracco, da suo fratello Maurizio, dal marchese Antonio Lucifero e dal signor Bernardino Albani: quattro cugini, i quali rappresentavano la parte più eletta e facoltosa di Cotrone. Il barone Barracco diresse al Re un sobrio discorso di felicitazioni, invitandolo a passare per Cotrone, che sarebbe stata felicissima di una visita. Il Re rispose che sarebbe lieto di compiacere la buona popolazione di Cotrone, ma gliene mancava il tempo e sperava in altra occasione far contenti i Cotronesi. E qui lascio la parola al marchese Antonio Lucifero. "Ci domandò se dimoravamo in Catanzaro, ed alla risposta che eravamo venuti da Cotrone, percorrendo quaranta miglia solo per felicitarlo, egli ripigliò che ci volevano certamente molte ore di carrozza; e noi dicendogli che la strada rotabile non era finita, e che bisognava fare tutto il cammino a cavallo, parve che se ne maravigliasse e ci ringraziò di nuovo. Baciammo la mano prima a lui e poi al principe ereditario, del quale la mano tremava in modo da impressionarmi. Fatta la riverenza al conte di Trapani, questi, ve-