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a rompersi. La sera di quel giorno, il Ramaglia consigliò la Regina ad affrettare la partenza. Il Re stava bensì meglio, ma sentiva una grande prostrazione di forze, e i due medici non erano veramente tranquilli sulle condizioni di lui, anzi prevedevano una ricaduta e volevano evitare il pericolo, che questa avvenisse a Lecce, cioè a un punto estremo del Regno.

All’una pomeridiana del giorno appresso, la famiglia reale si recò in carrozza, con tutto il seguito, a visitare i vicini comuni di San Cesario e di Lequile. La visita era impreveduta e nulla vi si trovò preparato. Tornati a Lecce, gli augusti viaggiatori si recarono al duomo, dove furono ricevuti dal vescovo, dal capitolo e da tutto il clero, sotto un ricco baldacchino, sorretto dai canonici. Dopo aver ricevuta la benedizione, pregarono sull’altare di Sant’Oronzo; poi, rimontati in carrozza, fecero un giro intomo le mura e, alle 4, ritornarono all’Intendenza. La partenza fa fissata per il domani. Se alcuni paesi della provincia rimanevano delusi nelle loro speranze di vedere il Re, dopo di aver preparati archi e trofei, la salute del Sovrano imponeva di passar sopra a questi riguardi. Fra le città deluse va ricordata Gallipoli, che aveva fatti preparativi straordinarii e apparecchiata una ricca lancia, per condurre il Re e la famiglia reale a vedere i lavori del porto. Le iscrizioni di Gallipoli erano addirittura secentistiche. Uditene una, che, a caratteri cubitali, si leggeva sulla banchina del porto: Qui — allo schermo della sacra parola del Re — muti tacciono i venti — e nel pietoso seno della misericordia — dileguasi il fremito dell’uragano — ancora una parola — e il truce demone della tempesta — abbandonerà per sempre — le rive Gallipoline.1





  1. Altri particolari circa la dimora di Ferdinando II a Lecce, particolari d’importanza tutta locale, sono riferiti nell’interessante libro di Niccola Bernardini, che vide la luce a Lecce nel 1895, dal titolo: Ferdinando II a Lecce.