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tavola, che vi si portava ogni volta. Lunghi discorsi faceva il Re col dottor Leone, il quale, pregato dalla Regina, non abbandonava, neppure di notte, l’Intendenza. Ferdinando II, un giorno, lo interrogò sulle sue idee politiche, ed alle franche dichiarazioni ricevutene replicò confutandole con un lungo discorso, nel quale si affermò il Sovrano più liberale d’Italia.

Nonostante le cure del dottor Leone, il male non accennava a cedere. Per maggior sicurezza, la Regina, fin dal secondo giorno, aveva telegrafato al dottor Ramaglia di partir subito per Lecce. Ma il Ramaglia arrivò cinque giorni dopo. Scese all’albergo, oggi del Risorgimento, e di là, in marsina e cravatta bianca, si recò all’Intendenza, tra la molta maraviglia di quanti videro questo vecchietto elegante e vispo, che nessuno conosceva, non alto di statura, ma dall’aspetto signorile e sorridente, accompagnato da un giovane, non più alto di lui. Quando poi si seppe che il primo era don Pietro Ramaglia, e il secondo il suo assistente Domenico Capozzi (che doveva più tardi acquistarsi un nome da uguagliare quello del maestro), cominciarono i primi sospetti sulla gravità della malattia. Giunto al palazzo, il Ramaglia fu ricevuto dalla Regina, che non gli volle far vedere subito il Re per non allarmarlo, ma lo informò largamente del suo stato.

I due dottori ebbero un primo colloquio o consulto. Il Ramaglia, che aveva la debolezza, cresciuta con gli anni, di credere d’intuir le malattie senza esaminare l’infermo, giudicò, da principio, il male del Re una febbre reumatico-biliosa. Il dottor Leone l’aveva definita reumatico-catarrale, con complicazione gastrica; ma il Ramaglia insistè per la biliosa, perchè egli sapeva, aggiunse, a quali dispiaceri fosse andato soggetto il Re. Dopo averlo visitato, Ramaglia confermò la sua diagnosi, ma forse capi che il caso era più grave di quanto avesse supposto. E poichè si era maravigliato di non vedere presso il Re il valoroso dottor d’Arpe, suo amicissimo, volle andare a vederlo e gli chiese: “E non ti chiamarono per il Re infermo?„ — “Non sono il medico del tempo„, rispose il D’Arpe. “Curiamo la febbre, disse il Ramaglia, ma temo che lo sfacelo andrà più oltre„; e seguitò a curare la febbre, la quale dai sintomi, che si manifestarono posteriormente, apparve causata da quell’ascesso all’inguine, che, non curato da principio, come si doveva, avvelenò il sangue del-