Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) I.djvu/399


— 383 —

cacciato? — “Dieci once; questa è la regola, Maestà„, rispose il Maretta. E il Re, stringendogli il braccio: “Grazie, masto; m’avite data ’a salute; ’o signore v’’o renne, figlio mio„.1 Il duca di Calabria porse il taffetà per rimarginare la ferita. Al Maretta furon date trenta piastre per il suo servizio; ma il salasso non restituì punto il benessere al Re, come lui credeva; anzi il male si inaspri di più. Lo tormentavano con maggiore insistenza la tosse, il vomito e il peso allo stomaco, tanto che il dottor Leone, credendo che si trattasse di congestione polmonare con complicazione gastrica, prescrisse dell’acetato ammoniacale.


In città si sapeva che Ferdinando II era indisposto, ma nessuno immaginava la gravità del caso, perchè alle guardie d’onore e a quanti prestavano servizio presso i Sovrani, si erano impartiti ordini rigorosi di serbare il silenzio. Si accreditava la voce che tutto dipendesse dai disagi del viaggio, dalla rigidità della stagione e che si trattasse di lieve catarro. Il Re non voleva medicine, dicendo che lo stomaco non gli permetteva di prenderne. Per fargli bere l’acetato ammoniacale e per togliergli dall’animo ogni sospetto, il dottor Leone andò egli stesso alla farmacia Greco, insieme col maestro di casa Martello, che dirigeva il servizio all’Intendenza e se ne fece preparare dal farmacista, Pasquale Greco, due pozioni in due bicchieri distinti. Tornato dal Re, gli disse che un bicchiere era per Sua Maestà e uno per sè. Ferdinando II gli dichiarò di avere in lui piena fiducia; ma, nonostante, il dottor Leone bevve la pozione. Il Re sorrise e bevve la sua. Dopo quella volta, egli prese qualunque cosa gli fosse ordinata dal medico, che successivamente gli prescrisse sale inglese, tartaro e olio di ricino, ma con poco sollievo dell’infermo, che, non potendosi levare e volendo ascoltare ogni giorno la messa, ordinò che si preparasse l’altare sopra un tavolino, nella medesima camera sua. Monsignor Caputo vi celebrava la messa, assistito dai canonici Cosma e Campanaro, che furono poi nominati cavalieri dell’Ordine di Francesco I. La Regina sedeva accanto al letto del suo augusto consorte e non l’abbandonava mai. Ella ed i principi si facevano servire il pranzo nella camera dell’infermo su di una

  1. Grazie maestro; m’avete data la salute: il Signore ve ne renda merito, figlio mio.