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piccole lagune, concesse fin dai 1849 dal demanio dello Stato in enfiteusi perpetua ai signori Onofrio Scarfoglio, Giovanni Milena e Luigi Epifani, con l’obbligo delle spese per mantenere la bonifica, la quale manutenzione era trascurata con danno della città. Cosa strana: di autorità municipali nessuna potè giungere al Re, e però non ebbero l’opportunità di esporgli i bisogni del paese, come avevano in animo. Il Decurionato deliberò, il 19 gennaio, d’inviare per questo un’apposita deputazione a Lecce, la quale fu composta dal sindaco Mannarini, don Gaetano Portacci, don Domenico Sebastio di Santacroce, il commendatore Ferdinando Denotaristefani e Cataldo Nitti “benemerito cittadino — sono parole testuali del verbale della deliberazione — che tanto seppe con la sua opera data alla luce interessarsi al sollievo della povertà di Taranto; i quali tutti, scienti delle bisogna del paese, troveranno modo come supplicare la Munificenza del Principe Regnante, ed ottenere a questa città tutti i possibili e duraturi vantaggi„. Nel breve ricevimento delle autorità, la Regina si faceva baciare la mano, coperta da un guanto di filo di Scozia. Alle nove i Reali partirono per Lecce, tra le solite ovazioni.


Da Taranto a Lecce, il viaggio si compi tutto di notte. A pochi chilometri da Taranto scesero tutti alla masseria Cimino, a destra della strada, dove erano magnifiche robinie. Era un bel chiaro di luna, che si rifletteva sulle onde tranquille del mare Piccolo, e benchè fosse nelle prime ore della sera, il mite clima messapico temperava il rigore della stagione. La principessa della Scaletta, superstite di quel viaggio, ricorda con caratteristica compiacenza quella fermata e le barzellette del Re, al quale parve per un istante che tornasse il buon umore. Cenarono in piedi e si rimisero in viaggio. L’ampia strada consolare era densa di popolo, e qua e là sorgevano archi di trionfo, con lumi ed epigrafi. Gli abitanti di San Giorgio, Carosino, Fragagnano, Monteparano, Sava, Manduria, Oria, erano accorsi con i corpi municipali, le guardie d’onore e le guardie urbane, sfidando i rigori di una notte d’inverno, benchè non freddissima. Ma il Re passò senza fermarsi. Traversò Manduria a trotto serrato, ch’era scorsa la mezzanotte. Manduria, patria di Niccola Schiavoni e di altri condannati e profughi politici, era città an-