Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) I.djvu/386


— 370 —

trarlo ai rigori della stagione e alla rigidezza delle prime ore della sera, gli offri ospitalità in casa sua, addobbata con opulenza, e dove era preparato un sontuoso pranzo per i Sovrani, i principi e tutto il seguito. Egli giunse a pregare il Re in ginocchio, perche rimanesse, ma il Re voleva, a tutti i costi, arrivare la sera in Acquaviva; e benché fosse già notte, ordinò che si partisse di galoppo. Il conte Gentile restò così mortificato della non accettata ospitalità, che per consolarsene in qualche modo, aprì per tre giorni di seguito il suo palazzo, perchè ciascuno vedesse la sala da pranzo, che aveva apparecchiata, con cuochi e camerieri fatti venire da Napoli.

Lungo la via da Bitonto ad Acquaviva furono fatte brevissime fermate a Palo, a Bitetto ed a San Nicandro.

Si giunse in Acquaviva alle dieci di sera. I preparativi per le feste erano stati diretti da monsignor Falconi. Case riccamente addobbate, alti archi di trionfo ed epigrafi riboccanti d’iperboli. Quella sulla porta della città, sotto l’immagine di Maria Santissima di Costantinopoli, diceva cosi: Vergine di Costantinopoli — Madre di Dio e degli uomini — di questa città dopo Dio — speranza prima — tu, che ne’ nostri bisogni — la seconda prece non attendi — questa grazia — impetraci dal figlio tuo — che questi angioli di viaggiatori — che innanzi al tuo santuario — umilmente si prostrano — mai non muoiano — alla tua gloria, al nostro amore — alla felicità de’ loro popoli.

Sotto quest’arco di trionfo, all’ingresso della città, attendevano il Re, il clero con monsignor Falconi alla testa, le autorità circondariali e municipali e i primarii cittadini, con ceri accesi in mano. Vi erano pure sessanta bambini, vestiti con pantaloni bianchi e giacchette celesti e rami d’ulivo in mano. Quei poveri bambini tremavano dal freddo. Il Re non sostò un momento e andò dritto al palazzo dell’arciprete. I dolori gli si erano rincruditi, con lo stare in vettura tante ore.


Monsignor Falconi, direttore supremo delle feste e scrittore delle epigrafi, era sontuoso in tutto: nello stile, nelle immagini, nei conviti, nelle abitudini. Alto e vigoroso della persona, egli era nativo di Capracotta; ed essendo stato, per alcuni anni, segretario dell’arcivescovo Clary a Bari, aveva rivendicata la palatinità delle chiese di Acquaviva e Altamura e ne aveva