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modo i principi, soprattutto il giovane conte di Caserta, che si studiava di ritrarre i tipi più comici di quei sindaci e di quei decurioni, e con tali facezie riusciva a strappare qualche sorriso al padre. La città, che più si distinse, fu Bitonto, culla di nobili e di cavalieri di Spagna. N’era sindaco il nobile Vincenzo Sylos Labini, il quale, nella confusione del ricevimento, perde il cappello. Il Sylos morì senatore del Regno d’Italia. I Sovrani si fermarono colà due ore. L’arco di trionfo rizzato sulla porta della città ricordava le gesta guerresche di Carlo III, e ampollose, al pari delle altre dianzi ricordate, ne erano le iscrizioni.
La famiglia reale si recò prima in quel magnifico duomo, uno dei più splendidi monumenti dell’arte pugliese sotto i Normanni e gli Svevi, dove dal vescovo, monsignor Matarozzi, fu impartita la benedizione, e passò poi all’orfanotrofio Maria Cristina, affidato alle monache di San Vincenzo de’ Paoli. Vi erano raccolte più di 200 orfanelle, ed una pronunziò, dinanzi alle Loro Maestà, un discorso d’occasione, il quale fu detto essere stato scritto dal canonico Comes e che finiva con queste parole: “Sì, Sire! Voi spargete la beneficenza in tutti gli angoli del vostro Reame, e qui ne abbiamo raccolto i frutti abbondevoli ancor noi, che se tolte alla corruzione de’ trivii siamo spinte sulla via della religione e della virtù, noi lo dobbiamo a Voi, che siete il padre dell’orfano e del derelitto„. Poi fu da tutte cantato un inno. La Regina ammirò i ricami eseguiti dalle orfanelle, e non fa parca di lodi, e il Re ricevette le autorità, che ammise al baciamano. Nella chiesa dell’orfanotrofio il vescovo diè ai Sovrani e ai principi un’altra benedizione, prima della partenza. Superiora del pio ricovero era suor Teresa Cecilia Goyeneche, francese, che io ho conosciuta, perchè morta da soli due anni; una monaca piena di talento, sana e ardita. Mi disse un giorno che la interrogai sul viaggio reale, ch’ella “avait remarquè que le Roi ètait malade„, perchè era taciturno e triste, aveva gran fretta di partire e pareva che si annoiasse di tutto e fosse molto stanco. Mi disse pure, che, quando i Sovrani e i principi visitarono il refettorio, il duca di Calabria, avendo sete, tolse dalla tavola un boccale d’acqua e lo bevve d’un fiato, e tutti restarono ammirati di quest’atto de vrai soldat.
Non valsero a dissuadere il Re dal lasciare Bitonto le caldissime preghiere del conte Vincenzo Gentile, il quale, per sot-