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Era mezzogiorno e mezzo, quando si udì un rumore insolita e strepito di cavalli; e prima che ne corresse la voce, il Re era entrato in città. La trovò deserta. Credette da principio ad un complotto politico; si turbò e ordinò di andare diritti al duomo, ma questo era chiuso e il vescovo De Franco faceva la siesta. Crebbe l’irritazione, perchè cadde un cavallo della sua carrozza. All’Intendenza non trovò nemmeno il picchetto di guardia, ma solo pochi militi urbani dei paesi vicini, venuti a prendere ordini e vestiti coi loro costumi caratteristici. Uno di essi, con lo schioppo a tracolla, si accostò al Re per baciargli la mano, e per poco non gli ruppe la testa. Chiese dell’intendente, e gli si rispose ch’era andato al duomo, come v’era corso difatti, infilandosi l’uniforme per via e gridando come un ossesso. Non trovato però il Re al duomo, tornò trafelato all’Intendenza, più morto che vivo. Catanzaro pareva una gabbia di matti. La gente si precipitava nelle vie, i magistrati correvano alla casa del Procuratore Generale a vestir le toghe e a prendere i cappelli; ma scambiando, nella confusione, toghe e cappelli, provocavano scene comiche ed episodii grotteschi. Discesi nella via, correvano come pazzi dal duomo all’Intendenza, in cerca del Re.
Questi, smontando nel cortile dell’Intendenza, licenziò le due guardie d’onore che lo avevano seguito, il barone Luca Orsini di Cotrone e il marchese Domenico Gagliardi di Monteleone, il quale, appena giunto in casa Larussa, di cui era ospite, dovè mettersi a letto, per curarsi delle gravi fiaccature riportate dal lungo trottare. Il Gagliardi, fratello minore del marchese Francesco, era un tipo eccentrico: portava costantemente gli speroni e indossava una specie di tabarro fra il militare e il borghese.
Salendo le scale, il Re vide venirgli incontro, affannosamente, la signora Galdi e le disse, con marcata ironia: " Meno male che trovo alla fine una persona, che mi addita la mia stanza da letto„; e scorgendo a poca distanza da lei un giovane piuttosto elegante, con la barba a collana, chiese bruscamente: "Voi chi siete?„, E alla risposta, che era il ricevitore generale Musitano, vivacemente replicò: " Va a tagliarti subito questa barba; qui non hai nulla da fare», lasciando capire che gli erano note le ingerenze del Musitano nelle cose intime della provincia. En-