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dato più volte alla loro celebre fiera di maggio, in borghese, con stivaloni e con grossa mazza ad uncino, a comprar cavalli e a vendere i prodotti delle sue tenute di Tressanti e di Santa Cecilia. Egli, che ci teneva ad essere un latifondista del Tavoliere, conosceva quasi tutti a Foggia, vi stava con grande fiducia e aveva preso a voler bene al brigadiere dei gendarmi, certo Fujano, borbonico furente.

Il corteo entrò da porta Napoli. Sotto il primo arco erano raccolte le altre autorità, col vescovo monsignor Berardino Frascolla, col clero e le congreghe. Il Re baciò la mano al vescovo e volle che la baciassero la Regina, i principi, l’intendente e tutti i personaggi civili e militari che l’accompagnavano. Mentre il Re baciava la mano al vescovo, si vuole che la statua della Giustizia, posta, come ho detto, sopra l’arco e fatta di cartapesta, girasse sul suo perno e che da ciò abbia poi avuto origine il detto locale, a riguardo della giustizia: “purché non si volti come la statua„. Il reale corteo si diresse alla cattedrale e il Re entrò nel tempio sotto un ricco baldacchino dorato, retto da otto decurioni. All’ingresso, monsignor Frascolla gli offrì l’acqua benedetta e l’ossequiarono i vescovi di Sansevero e di Lucera. Sull’altar maggiore della chiesa, riccamente addobbata con damaschi e broccati, era posto il quadro della Madonna dei Sette Veli, protettrice della città. Tutti s’inginocchiarono e fu cantato il Te Deum a piena orchestra, poi le litanie, alle quali segui la benedizione. Ferdinando II fissò il binoccolo sul quadro della Madonna per vederla meglio e, non riuscendovi, pregò il vescovo di fargli trovare, al ritorno, il quadro più in basso. Il quadro fu infatti abbassato, ma Ferdinando non lo rivide più. Dalla chiesa al palazzo reale, o dogana del Tavoliere, fu un cammino trionfale in mezzo a tutta la popolazione, stranamente esaltata. Saliti che si fu nell’appartamento, le ovazioni non cessarono. Il Re dovette ringraziare dal balcone che guarda la piazza San Francesco Saverio, mentre la Regina rimase dietro i vetri. I principi occupavano un altro balcone, e il principe ereditario gettava tarì1 al popolo, sollazzandosi coi fratelli a vedere il pigia pigia della folla per raccoglierli.

Durante la breve dimora in Foggia, Ferdinando II firmò

  1. Moneta d’argento, equivalente a 35 centesimi.