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frirgli un sigaro. Però la tradizione è rimasta viva fra i vecchi legittimisti, ed a conservarla contribuirono l’inconcludente vanità, meglio l’imbecillità del vescovo, il suo postumo liberalismo e l’affermazione di Mostaccione, che il vallo di Bovino biancheggiasse di una canna di neve, mentre non ve n’era punta. Si ritenne che il vescovo Caputo e Federico Lupi ubbidissero alla “setta„ che aveva giurata la morte di Ferdinando II. E vi contribuì anche il bisogno di attribuire la morte del Re, giovane a quarantanove anni e di complessione atletica, a ragioni straordinarie: tanto parve strana, nei suoi fenomeni, la malattia e più strana la circostanza, che nessuno degli altri viaggiatori, molti dei quali erano più anziani, soffrì nulla di grave, oltre l’incomodo del viaggio; nulla soffrì la Regina e nulla i giovani principi, i soli che si permettessero qualche volta di celiare, ma di nascosto, sull’imbarazzo dei pacchiani cerimoniosi e intirizziti dal freddo.


Alle 10 1/2 gli augusti viaggiatori mossero da Ariano per Foggia. Era la seconda parte di quella tappa assurda, che il Re voleva compiere da Avellino a Foggia: assurda, anche se le strade fossero state in buone condizioni, ma sempre però meno assurda dell’ultima tappa, da Acquaviva a Lecce, della quale si dirà appresso. Nell’atto della partenza non nevicava, anzi per un poco si vide il sole. Ma qualche miglio più in là, prima di entrare nello storico vallo di Bovino, riecco la bufera e con essa le difficoltà di andare innanzi. Alla salita di Camporeale, si scese di nuovo dalle vetture e il Re, che si sentiva molto stanco, si mise a sedere sopra un mucchio di sassi, che copri col suo mantello e vi rimase alcuni minuti. Nel levarsi, senti un acuto dolore all’inguine e stentò a rimontare in vettura. All’ingresso della Capitanata, là dove si succedono le montagne di Greci e di Savignano, si trovarono le autorità dei comuni del Vallo, con le guardie urbane e le bande musicali e con una folla di popolo, che acclamò i Sovrani. Al primo cambio postale presso Montaguto, furono incontrati da don Raffaele Guerra, intendente della provincia, dal comandante delle armi e da altre autorità provinciali. Tutto il Vallo era perlustrato da gendarmi a cavallo. L’intendente presentò al Re gli omaggi della provincia e n’ebbe in risposta poche e fredde