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il suo umore abituale. I postiglioni erano soesi di sella e, camminando il Re accanto alla prima coppia di cavalli, poco discosto da Modestino, questi, vedendolo fumare, gli disse: "Maestà, me vuliti rà sta mozzone?.„1 Il Re, credendo di fargli cosa più gradita, gli dette un sigaro intiero, che l’altro prese di mala voglia, rigirandolo fra le dita e non decidendosi ad accenderlo, nè a metterlo in tasca. Il Re capi, e ridendo gli disse: "Nè, Modestiniè, te vuoi sfizià ’nfaccia ’o mozzone, eh? E pigliatillo.2 Rimontando in vettura, il Re ricadde nel suo mutismo. Nella discesa di Monteforte, per quella strada serpeggiante con dolce pendio che egli aveva fatto costruire dodici anni prima, allorché, discendendo per l’antica via, era ribaltata la sua carrozza, rimanendone incolume, Ferdinando II invitò la Regina e i figli a recitare il rosario, in memoria dello scampato pericolo.

Era già notte, e i cavalli andavano adagio fra la neve. Alla borgata Speranza, quasi alle porte di Avellino, s’incontrò un plotone di guardie d’onore con alcune carrozze di autorità e di notabili, e fu udita rumoreggiare, fra tutte, la voce stridente e calabrese dell’intendente Mirabelli, che ossequiava i Sovrani e i principi. Le guardie d’onore, dopo aver reso il saluto militare, presero il posto dei gendarmi attorno alla carrozza reale. Le comandava Giuseppe de Conciliis, e ne facevano parte parecchi giovani delle primarie famiglie. E da ricordare che ogni guardia d’onore doveva avere almeno una rendita di trecento ducati e mantenere il cavallo a proprie spese. Si giunse in Avellino alle sei e mezzo.

La città era illuminata e, nonostante il gran freddo, il popolo si accalcava per le vie. L’accoglienza però non fu molto clamorosa. Era corsa voce che il Re mal avrebbe sopportato un chiasso smodato, e si confortavano gli zelanti con la speranza di preparare feste maggiori per il ritorno, cioè all’arrivo degli sposi. Il contegno di Ferdinando II non era tale da suscitare entusiasmi. Il corteo riuscì confuso e disordinato, e chi volle entrò nel palazzo dell’Intendenza, dove si erano preparati per gli augusti ospiti tre stanze a un angolo del palazzo: quelle che si chiamano anche oggi appartamento reale, e formano i

  1. Maestà, mi volete dare questo mozzicone?
  2. Nèh, Modestiniello, vuoi gustarti il mozzicone, eh? — Prendilo.