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persona che più Maria Sofia amasse in Napoli e con la quale avesse maggiore familiarità. A Trieste, la duchessa di Calabria fu ricevuta a bordo del Fulminante dalla principessa di Partanna-Statella e dalla duchessa di San Cesario: signore piuttosto anziane e dal conte di Laurenzana, e che l’accompagnarono sino a Bari, insieme col duca di Serracapriola, commissario per la consegna della sposa. Ferdinando II aveva mandata a Monaco, oltre a donna Nina Rizzo, un’altra cameriera, donna Giovannina Lo Giudice, ma le due donne, contendendosi l’onore di fare ’a capanota alla duchessa di Calabria, si bisticciarono così clamorosamente, che Ludolf fu costretto a rimandarne una. Restò donna Nina, di certo più intelligente e vivace; e tornata l’altra in Napoli, andò in ogni parte narrando il caso suo, contandone di tutte le tinte contro la rivale, come napoletanamente si costuma, nè apparve più in Corte.
I giornali di Napoli ebbero tutti parole cortesi e auguri per il matrimonio. Il Nomade scriveva: “Ecco benedetto dal Cielo un legame, che riempie di gioia due Regni e compie i voti più cari di due Reali Corti. Possa la loro gioia esser duratura, secondo gli augurii reciproci degli uni e delle altre„. Auguri sinceri, perchè Francesco, in fondo era assai ben voluto e si aveva fiducia in lui, come si ha generalmente nei principi ereditarli: fiducia alla quale purtroppo risponde spesso, dopo che sono saliti al trono, il più malinconico disinganno. Tutti eran curiosi di vedere la sposa, che i giornali decantavano per la bellezza, per lo spirito e l’ardimento. Si diceva che, arrivando lei, la Reggia si sarebbe riaperta alle feste ed ai ricevimenti; che sarebbe ritornata la Corte a Napoli, e un nuovo soffio di vita avrebbe animato tutto quel vecchio mondo aristocratico e brontolone, condannato all’inerzia, pur essendo così avido di svaghi gratuiti. Nessuno fece sinistri prognostici, anzi tutti bene augurarono da quella unione, che riscaldò la musa di tanti poeti, ispirò narrazioni iperboliche a prosatori, e procurò forse la morte di quel povero Niccola Sole, il quale, non sapendosi sottrarre agli inviti insistenti di scrivere la celebre cantata, che Mercadante musicò e fu poi eseguita al San Carlo, n’ebbe, lui già cantore
- ↑ Fraae di gergo dialettale, che vuol dire pettinare.