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Gli studenti non formavano a Palermo, come a Napoli, un piccolo mondo a sè, nè abitavano in quartiere speciale della città. Si allogavano alla meglio in qualche locanda di più che mediocre ordine, o in qualche convento di frati, specialmente nella cosiddetta infermeria dei Cappuccini, o in pensioni, ed erano da essi preferiti i paraggi più vicini all’Università e le molte locande di Lattarini e dell’Albergheria. Non avevano ritrovi speciali, ne erano fatti segno alle continue vessazioni della polizia, come a Napoli e a Catania. Di certo la polizia li teneva d’occhio, e chi entra oggi nell’atrio dell’Università trova a man diritta una porta, chiusa da trentotto anni. Quella porta dava in una stanza, dov’erano permanentemente un ispettore di polizia e due agenti di sicurezza, messi là per accorrere, se mai nell’atrio si fosse fatto chiasso fra una lezione e l’altra, o si fosse fischiato qualche professore. Non erano però temuti, anzi spesso prendevano anche loro una parte di fischi, senza riuscire a scoprire i fischiatori. Ma quei fischi e quei tumulti erano un nonnulla rispetto ai tumulti di oggi. Gli studenti potevano prendersi giuoco della polizia, fino a un certo punto. Essendo pochi, era facile saperne vita e gesta. Nella stessa Università esisteva un oratorio, con obbligo agli studenti d’intervenirvi, occorrendo un certificato del prefetto di spirito, per conseguire i gradi accademici: l’oratorio non era mai affollato, ma i certificati non si negavano. La polizia lasciava correre, ma i giovani non ne abusavano. L’Università presentava una vita piena di moto, perchè la popolazione scolastica non era formata solo da studenti, ma ad essi si aggiungeva un numero notevole di uditori estranei, i quali amavano lo studio di alcune scienze e ne seguivano i corsi. Le tendenze politiche più liberali erano quelle della scolaresca: tutti sognavano una Sicilia libera da Napoli e dai Borboni, e molti, negli anni più vicini al 1860, un’Italia libera con Vittorio Emanuele, o costituita in repubblica. Mazzini esaltava quei cuori avidi d’ideali; ma negli ultimi tempi la tendenza monarchica con Casa di Savoia prese il disopra sulla tendenza mazziniana. Però non giova anticipare la narrazione. Non ostante le distanze, i pericoli e la vigilanza di Maniscalco, penetravano fra i giovani le opere politiche di maggior conto, soprattutto quelle degli esuli scrittori siciliani. La storia di Giuseppe Lafarina, pubblicata a Capolago nel 1850, ebbe fra i gio-