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altri cantanti fecero naufragare la bella musica del Donizetti. E così nel nuovo ballo, La ninfa Cloe, si salvò la sola prima ballerina Ernestina Wuthier, la quale "a furia di grazia e di maestria, spiegata costantemente nei più piccoli passi e nelle più piccole movenze, ispirò al pubblico (e sempre lo stesso cronista) tale simpatia, che l’apparizione di lei e gli applausi più entusiastici divennero una cosa sola„. E trascinato da un’iperbole tutta meridionale, il cronista, che poi era il direttore del giornale, il galante Stefanino de Maria, scriveva: "ella è stata la colonna, che si è posata sulle acque di quel mare in tempesta, l’arcobaleno, che ha rischiarato quel cielo burrascoso, colei infine che è stata e sarà sempre segno all’entusiasmo del pubblico intero, colei, che si farebbe sin anco applaudire da uno degli automi del teatro meccanico„ . Un vero entusiasmo aveva destato l’anno innanzi la Boschetti nel ballo Beatrice di Gand del coreografo David Costa, e nell’altro, la Silfide. Un giornale la chiamò danzatrice acrobatica; vi furono polemiche, e per poco non scesero sul terreno entusiasti e critici della signora Amina.


Le maggiori famiglie palermitane ricevevano con la tradizionale grandiosità. In casa Riso era un succedersi di pranzi e di balli, e per la novena di Natale del 1859 vi si ballò per nove sere con brio inenarrabile. In quei giorni tutte le case patrizie, per antica tradizione, si aprivano a sfarzosi ricevimenti. Dicembre era il mese più allegro dell’anno, perchè cominciava con le feste e la processione dell’Immacolata, protettrice di Palermo, e dove la credenza nella verginità di Maria aveva preceduto, per sentimento di popolo, la definizione del dogma, tanto che nel secolo XVII il Senato della città aveva fatto il così detto giuramento del sangue, cioè di voler sostenere fino al sangue la verginità di Maria, e si compiva nella notte di Capodanno, con balli nelle case patrizie e nella Reggia, e balletti e giuochi nelle famiglie della borghesia.

Si riceveva in casa Rudinì il lunedi, nel palazzo ai Quattro Canti, allora di proprietà della famiglia. Don Franco Starrabba aveva sposata una delle figliuole del principe di Cassare ed era Sopraintendente dei teatri e spettacoli: semplice uomo ed alieno da politica e da studii, borbonico convinto, ma senza ardore,