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CAPITOLO XV
Fin dai primi tempi della luogotenenza del principe di Satriano, la città di Palermo cominciò a rivelare nella vita aristocratica una gaiezza, che non ebbe forse Napoli negli ultimi dieci anni di dominazione borbonica. La grande città tornava allo splendore dei suoi balli, dei suoi conviti, dei suoi teatri e delle sue pompe religiose. Pur non concentrando la vita economica e morale di tutta l’Isola, perchè Catania, detta l’Atene della Sicilia, e Messina, avevano vita propria con le loro Università e nobiltà e borghesia, resa ricca dai commerci, Palermo fu in ogni tempo la capitale dove affluiva la vita amministrativa dell’Isola, che per i Palermitani era semplicemente il Regno. Per essi gli abitanti delle provincie erano regnicoli, e però considerati quasi come membri di una razza inferiore e fatti oggetto di facezie, di epigrammi, di burle e anche di frodi esilaranti e imbrogli diabolici, come per i provinciali del continente si costumava dai napoletani. In quegli anni si venne affermando tutta la forza delle varie iniziative di quel grande cittadino, che fu Vincenzo Florio, benemerito della Sicilia più di qualunque Re o dinastia.