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con lui, quando, parlando della catastrofe del 15 maggio, rivolse agli avvocati quella terribile apostrofe: o avvocati, anzi paglietti, voi meritate la servitù!

Il ceto, scarse eccezioni a parte, non aveva coscienza politica. Molti di quelli che avevano più urlato nei giorni della libertà, si chiusero la bocca nei giorni della servitù, anzi i più voltarono casacca. Domenico Capitelli, la cui casa era stata sino al 1848 frequentatissima da una turba, che in lui adulava e corteggiava il principe del fôro e il presidente della Camera dei deputati, non fu più ricercato che da pochi fidi e coraggiosi amici, e lo stesso incolse a Carlo Troja. L’ex presidente del Consiglio dei ministri e l’ex presidente della Camera, amicissimi fin dalla prima giovinezza, abitavano a poca distanza, in via Toledo. Domenico Capitelli lasciò il suo appartamento al palazzo De Lieto e andò in quella via Quercia, che ora porta il suo nome, e poi al palazzo De Sinno a Toledo. Lo visitavano Gabriele Capuano, Innocenzo de Cesare, Raffaele Masi, Saverio e Michele Baldacchini, Leopoldo Tarantini e Vincenzo Sannia, e quando nella notte del 30 agosto 1864 morì a Portici nella villa Pietramelara, si trovarono intorno al suo letto, coi medici Pietro Ramaglia e Alessandro Lopiccoli, i soli amici Masi e Tarantini. I suoi affari professionali dopo il 1848 erano diminuiti; la sua casa, tenuta d’occhio dalla polizia e notate le persone che la frequentavano, per cui erano caratteristiche le paure del Masi, nel quale però l’affetto vinceva la trepidazione.

Con la morte di Domenico Capitelli venne a mancare il maggior astro del fôro napoletano; quello, che, al dire del Pessina, impossessandosi della dottrina storica del Vico, che nella sua mente era congiunta alle dottrine filosofiche dei contemporanei, inquadrò nella storia del diritto il concetto delle tre età, del senso, della fantasia e della ragione; quello che fu con Niccola Nicolini, a dire del Pisanelli, l’interpetre del pensiero di Mario Pagano che entrambi intesero a fecondare. Esempio cosi raro di rettitudine, di disinteresse e di dignità umana che, avendo per oltre quarant’anni esercitata la professione, non lasciò che una modesta sostanza. I suoi inviti non erano superiori alle 20 e alle 30 piastre, e un giorno che il conte Coppola per un’importante causa, gli offerse un invito di 500 ducati, egli se ne maravigliò col cliente, al quale disse che riteneva quella