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sultare i registri della polizia borbonica sugli individui espatriati, esiliati e relegati per carichi politici del 1820 e 1821. Ivi si racchiudono notizie oggi preziose sulla più degna emigrazione politica napoletana, e ce n’è pel Troja. Citerò un altro esempio. Ciò che il Troja fece nel parlamento napoletano del 1848, cioè la preparazione extraufficiale del suo governo, che ancora risulta dai giornali del tempo, nel libro del Del Giudice è trascurato. È stato invece felice nel riprodurvi gli articoli, assolutamente dimenticati, che Carlo Troja scrisse nel 1848 sulla insoluta ed ardente questione siciliana, e pubblicò ne’ numeri 1, 5, 20, 33, del giornale napoletano Il Tempo. Quegli articoli sono importantissimi per più rispetti; innanzitutto per le notizie autobiografiche di lui, che narra i primi anni suoi nella Corte borbonica a Palermo nel 1799, l’incontro con Emma Lyona e col padre Piazzi, e il modo di vedere nella grossa questione siciliana. Com’è noto, il Troja fu il fondatore e il direttore nominale di quel foglio, che vide la luce il 21 febbraio del 1848, ed era scritto da Saverio Baldacchini, Cammillo Caracciolo, Achille Rossi e principalmente da Ruggiero Bonghi. Lo studio di lui è diviso in cinque articoli, con questo titolo: Diritto pubblico nazionale ed ogni articolo ha un sarà continuato, e tutti sono improntati ad uno spirito altissimo d’italianità, di verità e di moderazione. Il primo venne fuori nel primo numero del giornale, quando già la rivoluzione era compiuta in Sicilia, ma non ancora vi si era proclamata la decadenza della dinastia, la qual decadenza significava separazione irrimediabile dell’Isola da Napoli. Riporto il primo articolo, ch’è una specie di proemio agli altri, ed è pieno di curiosità e d’interesse per la vita del Troja e la vita di Palermo nei primi anni di questo secolo:
L'anno quattordicesimo dell'età mia era pervenuto alla metà del suo corso, quando i sanguinosi rivolgimenti di Napoli mi sospingevano in Sicilia. Il vascello dell'ammiraglio Caracciolo accolti avea grandi stuoli di persone d'ogni sorta; ivi era la mia famiglia, e nel di 26 dicembre 1798 approdammo ai lidi ospitali di Palermo. Fui tosto confidato alle cure del Padre Piazzi, acciocchè imparassi le discipline dell'astronomia; ed egli amommi con amore paterno, il quale, per una eccezione felice, di tanto più, crebbe di quanto i miei spiriti si chiarivano alieni dall'apprenderle; rivolti a vagheggiare un'altra specie di bello, tuttochè Cerere fosse comparsa, me presente, agli occhi del Grande Astronomo, alla quale Michelangelo Monti delle Scuole Pie applicò i detti di Tibullo: Et sua de coelo prospicit aera Cerea. Il signor Piazzi pigliava diletto di non so quali miei fanciulleschi sofismi contro il sistema di Copernico, e collocommi là