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rata. Ricordo i tre padri cassinesi, Luigi Tosti, Carlo de Vera e Simplicio Pappalettere, il padre Alfonso Capecelatro e don Vito Fornari; e tra i laici, Domenico Capitelli, Giuseppe Ferrigni, Giovanni Manna, Saverio Baldacchini, Giuseppe Caprioli, il marchese D’Andrea, Alfonso Casanova, Niccola Gorcia, Francescantonio Casella e quel Gaetano Trevisani, che amò il Troja di amor filiale e ne fu riamato, che del Troja scrisse la vita e non gli sopravvisse che di un anno. Mente elettissima, Gaetano Trevisani fu quasi il San Giovanni del grande storico, il quale con parole piene di affetto lo ricordò nel suo testamento. Oltre ai neoguelfi, frequentavano la casa di Carlo Troja giovani eclettici, dalle idee manifestamente ghibelline, i quali riconoscevano in Antonio Ranieri il rappresentante del ghibellinismo di allora, un ghibellinismo più rettorico che reale, ma amavano il Troja quasi sino all’adorazione.

Ricordo tra costoro Gennaro de Filippo, Carlo de Cesare, Marino Turchi, Francesco Saverio Arabia, Federigo Quercia, Francesco Pepere, Emilio Pascale, Salvatore de Renzi, Carlo Cammarota e Giuseppe del Giudice. Furono, questi e quelli, gli amici degli ultimi anni e che più trepidarono per la sua vita e ne scrissero, dopo la morte, con ammirazione quasi idillica. Due anni prima di morire, il Troja pubblicò alcune dissertazioni dantesche sul vecchio tema del Veltro allegorico dei Ghibellini, e fu per gli amici di lui un avvenimento addirittura straordinario. Nel Museo di scienze e lettere, Giovanni Manna discorreva del Veltro e dell’interpetrazione storica della Divina Commedia, dimostrando che le ricerche del Troja diedero agli studii danteschi un più sicuro indirizzo. Carlo de Cesare ne scriveva con enfasi nell’Archivio Storico di Firenze, di cui era corrispondente; Federico Quercia nel Nomade e Alfonso Casanova in una sua lettera a Carlo Morelli, in data 30 gennaio 1856, annunziava la pubblicazione del Troja con parole addirittura esaltate.1

Quel buon vecchio suscitava così vivace entusiasmo fra i giovani colti, non solo per l’importanza delle sue opere e per la sua simpatica e bonaria figura, a cui i candidi capelli aggiungevano venerazione, ma perchè rappresentava tutto un passato

  1. Lettere di Alfonso Casanova a Carlo Morelli. — R. de Cesare, Una famiglia di patriotti. Roma, Forzani, 1888.