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cui fu presidente e anima Giustino Fortunato, e furono ministri Ferdinando Troja, fratello di Carlo e il cognato di lui, Pietro d’Urso. Strana vicenda questa di due fratelli, uno dei quali rappresentò, per quarantadue giorni, l’idea nazionale, con un Re che non l’aveva, in una Corte che l’abborriva, in un Regno che non la capiva; mentre l’altro stette al governo otto anni e rappresentò, con poco illuminata coerenza, l’idea reazionaria, l’interesse dinastico sino all’ultimo e la più cieca superstizione religiosa, tanto cieca che non pareva sincera.


Meno per l’autorità del suo nome e della sua dottrina, che per gli stretti legami di così influente parentela, Carlo Troja non soffrì persecuzioni, né ebbe processi, come i suoi amici e i colleghi del celebre ministero. Tornato alla quiete degli studii, la folla si diradò attorno a lui, ed egli se ne doleva, perchè la conversazione era il suo unico svago e la miglior medicina ai suoi mali. Si compiaceva soprattutto di conversare coi giovani, per i quali sapeva trovare le parole più. acconcie e gli argomenti più grati, rendendo il suo discorso erudito e geniale per i numerosi aneddoti, serii e faceti, che graziosamente raccontava. Una sera, tra le altre, erano in casa sua, il Manna e il Trevisani, suoi amicissimi, e il giovane Carlo Cammarota che il Troja amava, pregiandone la cultura e l’animo. Si parlava dei fatti del 1848 e il Manna gli chiedeva alcune notizie di politica estera, concernenti il ministero del 3 aprile, del quale egli Manna faceva parte, e il Troja interruppe: "Ma non ricordate, don Giovanni, che la politica estera la faceva il Re, e io sapeva le notizie politiche dal Lampo?„ . Il Lampo era un giornaletto popolare di allora. Frequentavano la sua casa que’ pochi napoletani, rimasti fedeli, ma senza gli entusiasmi di prima, alla scuola neoguelfa, che aveva nei primi e più fortunati mesi del 1848 governata l’Italia, con Balbo e Gioberti in Piemonte; con Gino Capponi, a Firenze; con Mamiani e Rossi a Roma; con Casati e Borromeo a Milano; con Manin a Venezia e con lui, Carlo Troja, a Napoli. Scuola politica che non ebbe più fortuna, dopo i disastri del 1848 e il voltafaccia di Pio IX. I neoguelfi di Napoli, che s’ispiravano in Carlo Troja, riconoscendolo come il santo padre della scuola, erano ecclesiastici e laici, i quali credevano conciliabile la fede religiosa con una libertà illuminata e mode-