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leone. La tassa minima era per 25 parole e non progrediva, parola per parola, ma da 25 a 50 e da 50 a 100. Per l’indirizzo si concedevano cinque parole, che non venivano calcolate.

Il 25 gennaio 1858 venne inaugurato il telegrafo elettrico sottomarino tra Reggio e Messina, e il 27 fu messo a disposizione dei privati. Ecco in quali termini, quasi venti giorni dopo, la Verità, giornale del prete don Giuseppe Scioscia di Pescopagano, descriveva la cerimonia dell’inaugurazione: "L’elettrico libero si gittò forse nei giorni antichi su i campi or detti Reggiani e Messinesi, e li disgiunse fra loro, e fra loro sospinse le onde del Tirreno, che corsero ad abbracciarsi con quelle dell’Jonio. Allora non era nata la scrittura, e la storia non ba potuto tramandare a noi ciò che i marmi inscritti non avevano rivelato a lei. Ora nuovo prodigio e faustissimo appare in que’ lidi. Lo stesso elettrico, non già libero, ma schiavo della scienza, ricongiunge Reggio a Messina, Scilla a Cariddi, Cannitello ai Canzirri di Sicilia; si che la parola va dall’una all’altra sponda più ratta del vento, anzi sulle ali del fulmine muove da ogni parte d’Europa a Napoli ed a Messina. Ciò si ottenne al grido mille volte ripetuto di Viva il Re, in sole due ore e mezzo del giorno 25 del p. p. gennaio nel quale breve tempo felicemente fu immerso il filo elettrico nel Faro di Messina; intraprenditore Jacopo Bozza, assistente, la Commissione scientifica della telegrafia elettrica; operanti, i capitani delle reali fregate a vapore il Veloce, il Miseno e il Principe Carlo. Ma questa seconda pruova della potenza elettrica non andrà perduta per volger di secoli; ma durerà con loro la pietra, su cui sarà incisa la memoria del fatto. E noi sottoponiamo a’ lettori le parole che ricorderanno questo novello benefizio largito a’ quei popoli dal nostro Augusto Monarca, e tanto più volontieri ci onoriamo di tale pubblicazione, quanto più splendide ed eleganti sono quelle parole medesime, che si dettavano da quel fiore di civile e letteraria sapienza, ch’è S. E. il signor comm. D. Salvatore Murena, ministro delle Finanze e dei Lavori Pubblici„. E qui seguiva una più ampollosa epigrafe latina. La Verità era un foglio pugnacemente borbonico. Oltre a don Giuseppe Scioscia, vi scriveva quel canonico Caruso, odiato rettore del Collegio medico, il quale ne era pure l’amministratore.