Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 222 — |
riceveva, in ricambio, decorazioni e nomine accademiche. Era il suddito forse insignito di maggiori onorificenze, e delle decorazioni faceva pompa nelle occasioni solenni, quando vestiva la sua uniforme con relativo spadino e cappello piumato. Egli era il presidente Fenicia, ma nessuno sapeva davvero a che presedesse. Viveva a Ruvo, dove morì vecchio dopo il 1860. Non lasciava passare avvenimento, anche mediocre, senza dedicarvi qualche suo sproloquio. Aveva molto letto e la sua testa dava l’immagine di un arsenale in disordine; la sua cultura archeologica era farraginosa; superficiale e antiquata, quella nelle scienze naturali e in astronomia, nelle quali, si credeva profondo. Spesso pubblicava, in appendice ai suoi libri, le lettere che uomini eminenti gli scrivevano, nelle quali con tono ironico che egli non capiva, gli facevano le lodi più strane. Udite il sonetto di due quartine e tre terzine, che pubblicò sul terremoto del 16 dicembre, da lui definito tosse della terra:
In anormal effidrosi non guari |
Il Nomade ironicamente osservava: "Non vogliam tacere, che la spiegazione del Fenicia è derivata dal suo nuovo sistema che facea noto, ora è qualche anno, ai dotti del Regno e stranieri; un sistema por il quale il colera non sarebbe altro che la crittogama delle uve„. Altri poi proponevano ingenuamente dei rimedii, e per un anonimo compilatore dell’Internazionale, una misura di prevenzione contro i terremoti doveva consistere