il tipo del parassita zimbello era sparito col Caracciolo. Gli anni e le preoccupazioni del governo avevano modificata l’indole del Re. Nel 1832, quando sposò Maria Cristina, aveva 22 anni ed era nella pienezza del suo spirito volgarmente bizzarro e ne faceva d’ogni specie. Andò a sposare a Veltri, e partì da Napoli il giorno 8 novembre, per terra, accompagnato dal Caprioli, suo segretario particolare e dal corriere di gabinetto Dalbono. Non volendo essere riconosciuto lungo il viaggio, si pose gli occhiali e le barbette finte, ed al confine mostrò un passaporto, nel quale era chiamato don Ferdinando Palermo, gentiluomo, che parte per un Cantone della Svizzera. Giunto a Roma, non discese al suo palazzo Farnese, ma alla locanda del Serny, in piazza di Spagna. Vi si trattenne tre giorni e visitò il Papa, e da Roma, il 14, parti per Firenze dove giunse incognito. Visitando le gallerie, v’incontrò il Granduca, che gli era cugino e l’anno dopo divenne cognato; gli si diè a conoscere, ma ne ricusò l’ospitalità, scusandosi che partiva il giorno stesso per Genova. Il matrimonio del Re fu celebrato dal cardinale Morozzo vescovo di Novara a Voltri, nel santuario dell’Acquasanta, il giorno 20 novembre. Maria Cristina aveva vent’anni ed era alta quanto lui, parlava poco e in francese quasi sempre. Compiuto il matrimonio, non volle andare a dormire con lei nel magnifico appartamento fatto preparare da Carlo Alberto al palazzo reale, ma pretese che Maria Cristina andasse lei al palazzo ducale, dov’egli alloggiava. E la seconda notte del matrimonio, all’improvviso, se ne andò con un aiutante a visitare la fortezza di Alessandria. A Genova si fermò sei giorni. Fece partire per Napoli il Caprioli e il Dalbono, per far pubblicare il matrimonio e avvisare che i Sovrani sarebbero presto arrivati. Vi giunsero infatti il giorno 30, a bordo della fregata Regina Isabella, seguita dalle fregate sarde il Carlo Felice e l’Euridice, e da un avviso, il Dione. Era di venerdì, pioveva a dirotto e la pioggia e la giornata non furono ritenute di buon augurio dai napoletani. La Regina non volle saggiare alcuna pietanza di carne. Il Re rideva degli scrupoli di lei e la metteva in canzonatura, dicendo che era una santa, molto attaccata all’etichetta insopportabile della Corte di Torino: scrupoli ed etichetta, che molto lo seccavano. Si determinò subito una marcata e profonda incompatibilità di carattere fra loro