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vica, e poi da Pietro Scrofani per l’interno; Giuseppe Buongiardino per le finanze, Gioacchino La Lumia per la giustizia e affari ecclesiastici, e Salvatore Maniscalco per la polizia. Filangieri scelse per suo segretario particolare un giovane alunno di magistratura, vivacissimo d’indole e d’ingegno, Carlo Ferri, che morì a Napoli nel 1883, dopo avere avuto un momento di celebrità, presedendo, nel 1879, la Corte d’Assise che condannò il Passanante. Prese come suo aiutante il maggiore di artiglieria Francesco Antonelli, ch’egli conosceva sin da quando era ispettore generale d’artiglieria e genio, e conobbe meglio durante la campagna di Sicilia, avendolo avuto nel suo stato maggiore, come capitano. L’Antonelli nel 1855 fu promosso tenente colonnello; nel 1860 divenne brigadiere; e capo dello stato maggiore a Gaeta, ne firmò la capitolazione. Aveva egli un raro dono naturale, quello di saper fischiare in maniera così perfetta che, non vedendolo, pareva di sentire un flauto, e fischiando, accompagnato dal pianoforte, riscuoteva l’ammirazione di quanti lo udivano. Riordinando più tardi la redazione del Giornale Ufficiale di Sicilia, Filangieri ne nominò direttore un valoroso giornalista messinese, Domenico Ventimiglia, il quale era stato nel 1848 redattore dell’Arlecchino a Napoli, e poi aveva scritto nel Tempo del D’Agiout, e pubblicate cose letterarie e archeologiche. Il Ventimiglia, spirito scettico in politica, ebbe una vita giornalistica avventurosa, e morì a Roma, nel 1881, direttore dell’Economista d’Italia. Io gli fui amico, e posso attestare che tanto lui, quanto il Ferri, che conobbi parimente, serbarono un così sincero senso di devozione alla memoria del principe di Satriano, che quasi ne parlavano con le lagrime agli occhi.

Ristabilito via via l’ordine pubblico con le note ordinanze di maggio e di giugno, e tolta ogni voglia di nuove agitazioni politiche, Filangieri non permise in quell’anno la tradizionale festa di Santa Rosalia, che cade il 15 luglio. Il Giornale di Sicilia ne dava l’annunzio con queste curiose parole: "La plebe, per cui tal classica festa è un elemento di gioia, attende il venturo 15 luglio 1850 per esilararsi senza usura di sfoggi„. Non meno comico era stato, due mesi prima, il modo, col quale lo stesso giornale aveva annunziata la grazia fatta a Giuseppe Pria, a Francesco Giacolone e a Francesco Davi, i quali, condannati a mor-