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viatico non fosse passato. Questo accadeva più di frequente, traversando i sobborghi di Napoli per recarsi ai Camaldoli di Torre del Greco; accadeva a San Giovanni, a Portici, a Resina, a Torre, dove era seguito dai ragazzi di quei paesi, che correvano appresso alla carrozza reale, gridando Viva il Re.

Negli ultimi due anni si sviluppò in lui una più esagerata tendenza alle pratiche religiose, che non era tutto bigottismo, ma forse bisogno d’ingraziarsi la divinità, perchè gli restituisse la perduta pace dello spirito. Ascoltava la messa ogni giorno; si confessava di frequente, tanto che monsignor De Simone non si allontanava mai da lui; diceva tutte le sere il rosario con la Regina e i figliuoli e, invariabilmente, prima di andare a letto, con un segno della mano baciava le immagini sacre, che popolavano le camere precedenti a quella dove dormiva. E prima di coricarsi, inginocchiato innanzi a un piccolo crocifisso, recitava le ultime orazioni.

Giuseppe Fiorelli, segretario particolare del conte di Siracusa, fu testimone di un incidente caratteristico. In una giornata di luglio del 1857, Fiorelli e Lorenzino Colonna, cavaliere di compagnia dello stesso conte e secondo marito di donna Olimpia Cepagatti, andarono, come solevano, al palazzo Siracusa, alla Riviera di Chiaia, dovendo col principe recarsi tutti e tre a Sorrento. Nell’anticamera non trovarono servi, né altri di casa; andarono oltre: nessuno; penetrarono nella camera da letto del conte e un triste spettacolo si offri loro alla vista. Don Leopoldo, mezzo nudo, giaceva a terra, non dando segni di vita. Lo sollevarono e adagiarono sul letto. Era stato colpito d’apoplessia. Il caso era grave, onde chiamarono gente; chiamarono i medici e il Colonna corse alla Reggia a darne notizia al Re, che in quel giorno, era a Napoli. Il Re se ne afflisse, perchè egli amava i suoi fratelli, e rispose che andrebbe subito a visitare l’infermo. E vi andò. Penetrato nella camera del conte, lo chiamò per nome e quello non rispose, anzi non lo conobbe. Il Re cavò allora dalla tasca uno scapolare e lo pose al collo dell’infermo, dicendogli: "Popò, Popò, la Madonna ti farà la grazia„. Il conte guarì, e finché visse, mi diceva Fiorelli, non si tolse più dal collo il sacro amuleto pur facendo professione di ateismo.

Nonostante tanti fervori e pregiudizii, egli non tollerava le