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e istituzioni fossero a discrezione della polizia. Le sue teorie d’immobilità assumevano una strana forma di sentimentalismo verso i poveri; il suo ideale era quello di governare con un’aristocrazia relegata fra le cariche della Corte; una borghesia impaurita e una plebe soddisfatta di aver tanto per non morirsi di fame, e che lo inneggiasse, perchè Re assoluto e potente, ma familiare e popolano. Ferdinando II sentiva la superbia dell’indipendenza. Non era austriaco, come dicevano i liberali, perchè, com’è noto, non fece mai causa comune con l’Austria; anzi, morendo, raccomandò al figlio di essere neutrale nella lotta impegnata fra l’Austria, il Piemonte e la Francia. Non era italiano, perchè non aveva il sentimento nazionale, nè ambizione di conquiste o di avventure. Egli non immaginava altro Stato che il suo, e così fatto: il Re responsabile dinanzi a Dio, i funzionari pubblici dinanzi al Re e nessuno responsabile dinanzi al paese, il quale non aveva altro rifugio che nella cospirazione e nella rivoluzione.
Ebbe, in quegli anni, un’idea magnifica, che se avesse avuto il coraggio di tradurre in atto, avrebbe forse salvata la dinastia: sviluppare le risorse economiche del Regno, poverissimo; dotarlo di ferrovie e di telegrafi elettrici, aprire succursali del Banco di Napoli nelle provincie, migliorare le condizioni dei porti e metter mano a varii lavori di bonifica. E da ricordare che la prima linea ferroviaria, costruita in Italia, fu la Napoli-Portici. La Milano-Monza venne seconda; ma, mentre, in quindici anni, il Lombardo-Veneto e il Piemonte avevano costruito qualche migliaio di chilometri ferroviarii, noi non ci si spinse, faticosamente, che fino a Nocera, a Castellamare e a Capua. Nel 1855 diè a Tommaso D’Agiout la concessione della Napoli-Brindisi, per Foggia e Bari; nel 1856, allo stesso D’Agiout l’altra linea Napoli-Taranto, per Salerno, Eboli, Calabritto, Rionero, Spinazzola e Gravina; e nello stesso anno, al barone Panfilo de Riseis la terza grande linea, da Napoli al confine romano, per gli Abruzzi. D’Agiout costituì la società, ne nominò gerente il Melisurgo, ne inaugurò i lavori a Napoli, e il De Riseis, che poi morì senatore del Regno d’Italia, fece il versamento della prima rata della cauzione, acquistando cartelle di rendita per 60 000 ducati. Si nominò una commissione centrale di sorveglianza per questi lavori ferroviari, la quale, nel 1866, scris-