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e le dimostrazioni, alle quali erano stati fatti segno, percorrendo Toledo e Foria. Chiese allo Zezon che cosa gliene paresse e avendo quello risposto che la partenza dei due diplomatici era resa grave dalla simultaneità che rivelava un partito preso, il Re lo interruppe bruscamente, e per alcuni giorni non gli rivolse la parola. Temeva Zezon di essere licenziato come Corsi, ma non fu così. Dopo qualche tempo il Re, tornando buono con lui, gli disse: "Tieni a mente che le osservazioni, le quali dispiacciono, non si fanno„. Egli aveva bisogno d’illudere sè stesso; lo seccava la pubblicità e lo irritavano le accuse della stampa liberale del Piemonte, di Francia e d’Inghilterra. Non riconosceva in nessuno il diritto di ficcare il naso nelle faccende del suo Regno, che considerava come cosa propria. Certo avrebbe desiderato che quello stato di tensione, che originava le accuse, cessasse, ma il mezzo? Non lo vedeva, nè, dato il suo temperamento e l’indole dei suoi sudditi, mezzo concludente vi era. Aprir le prigioni e riconcedere la Costituzione, era tornare al 1848 e ad un 1848 peggiorato; aprir le prigioni e mandar tutti i prigionieri per il mondo, era accrescere i pericoli per un altro verso; impossibile abdicare, non facendo egli alcun conto del figliuolo, giovanissimo, e non essendo le abdicazioni tradizionali nella sua casa.

L’uomo era così fatto. Tranne qualche ministro e qualche direttore, non aveva intorno a sè gente che valesse moralmente più di lui. L’unico, Carlo Filangieri, era tenuto lontano. Come tutti gli uomini incolti, che assai presumono di sè, mal tollerava la compagnia delle persone colte, e tutto ciò, che l’obbligava a non parlare il suo favorito dialetto, lo infastidiva potentemente. Non parlava bene che il dialetto napoletano e il siciliano e la lingua francese, e il suo pensiero non trovava più fedele manifestazione che nel linguaggio dialettale, e il suo italiano era la traduzione di quello, e però non spontaneo, nè arguto, nè vivace e assai meno immaginoso. Era un principe tutto napoletano, ma a giudicarlo con i criterii di oggi, quasi Re di altri tempi.


A lui bastava che il mondo dicesse che le istituzioni amministrative di Napoli e le sue leggi fossero quanto era di più progredito in Europa; gl’importava poco che, in pratica, leggi