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men bello, e degli uomini le debolezze, più che le virtù. Nei primi tempi del 1848 credè di cavarsela con le parole e le barzellette, e alle frequenti deputazioni che andavano da lui, rispondeva spiritosamente e con relativa cortesia. Al vecchio Barbarisi, che fu uno dei promotori più caldi della Costituzione, disse un giorno: “Don Savè, questa è casa tua, e aperta per te a tutte l’ore; mi dispiacerà positivamente se non vieni tutti i giorni„; e altra volta: "Don Savè, ho giurato la Costituzione e la manterrò; se io non voleva darla, non l’avrei data„. Un giorno del 1848, s’intende, Pisanelli, Mancini e non ricordo chi fosse il terzo, andarono dal Re, quali rappresentanti di uno dei molti circoli politici di Napoli. Il Re li accolse con queste parole: "Nè, pagliè, che bulite?1 Impacciati dalla brusca domanda, i tre avvocati esitarono sulle prime, ma, più animoso il Pisanelli si fece innanzi e con accento solenne disse: "Sire noi vogliamo il progresso„ . "Lo voglio anch’io, soggiunse il Re; ma, spieghiamoci, che intendete voi per progresso?„ E il Pisanelli: "Sire, il progresso è un gladio, che incalza popoli e Re ....„, Ferdinando lo interruppe, e volgendosi al duca d’Ascoli, che gli stava vicino: "Nè, Ascoli, stu progresso fete (puzza) nu poco de curtiello„. I tre avvocati non seppero aggiungere altro, nè altro disse il Re e si separarono con diffidenze scambievoli. Per Ferdinando II l’antipatia e il disprezzo verso gli avvocati erano invincibili. Si aggiunga che quei tre erano anche liberali.

Il 1848 gli lasciò paurose reminiscenze e ne peggiorò l’indole. Entrò in una via senza uscita, e la percorse non deviando un istante, con fermezza sì, ma senza ombra d’illuminata preveggenza. Quel sistema di reazione era troppo violento e cieco, per essere duraturo. Se Ferdinando mostrava coraggio e dignità nel rispondere alla Francia e all’Inghilterra, che gli consigliavano riforme, amnistia e politica "concorde allo spirito del secolo„, che lui, solamente lui, era giudice dell’opportunità di tali concessioni, e se si mostrava indifferente, quando i due ministri partirono da Napoli, non è a dire che non intendesse la gravità del caso. La sera del 21 ottobre 1856 egli era a Caserta, e Gaetanino Zezon, ufficiale della sua segreteria particolare, gli decifrava il dispaccio di Bianchini, annunziante la partenza dei ministri di Francia e d’Inghilterra,

  1. Neh, avvocati, che volete?