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vità pericolosa si sarebbe tentata. Soleva ripetere alcuni motti caratteristici, come questo: "Ai confini del mio Regno finisce l’Europa e comincia l’Africa„; e l’altro: "Noi ci troviamo fra la scomunica e l’acqua salata„, perchè il Regno confinava, da una parte, con gli Stati della Chiesa e per il resto, era circondato dal mare. Tre circostanze lo rendevano tranquillo: avere lo Stato pontificio per antemurale; sudditi incapaci di conservare durevolmente gli ordini liberi e truppe bastevoli per vincere qualunque moto interno, se pure qualcuno se ne osasse tentare, dopo le ultime repressioni, per le quali le carceri rigurgitavano di prigionieri, il Piemonte di esuli e il numero degli attendibili era divenuto stragrande, per non dire scandaloso addirittura.


Salito al trono a vent’anni, aveva dovuto interrompere gli scarsi studii. Egli veramente non sapeva nulla, bene, ma a tutto era convinto che bastasse il senso comune e di questo era largamente dotato, insieme alla naturale perspicacia napoletana e ad una memoria, che tutti concordi, amici e nemici, riconoscevano prodigiosa. Tenuto conto del mondo intellettualmente mediocre, che lo circondava, il Re era, fuori di dubbio, l’intelligenza superiore e certo la più acuta, perchè di rado s’ingannava nella conoscenza degli uomini. Dotato di spirito beffardo e motteggiatore, come ogni napoletano, preferiva il sarcasmo alla lode, e se questa concedeva, non la scompagnava da una leggiera tinta d’ironia, quasi per far intendere che non doveva essere accettata per moneta sonante. Leggeva poco o nulla, e ostentava una invincibile avversione per gli scrittori in genere, che chiamava, per disprezzo, pennaruli. Detestava i dottrinarii; non ammetteva che due dottrine: quella dei magistrati e quella degli ecclesiastici, le sole che reputasse utili alla stabilità sociale e politica. Il breve contatto, che ebbe con i ministri costituzionali nel 1848, bastò a fargli perdere ogni simpatia per gli ordini rappresentativi. Il linguaggio dottrinale di quei ministri gli riusciva insopportabile, e più insopportabili le continue professioni di liberalismo e di amore del bene pubblico. Non riusciva a persuadersi che quelli capissero più di lui e conoscessero, più di lui, il paese, e lo amassero di più. Le maggiori avversioni le ebbe per Saliceti e per Scialoja, che