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vise de’ varii Ordini, la Corte napoletana sarebbe stata la più splendida del mondo. I cavalieri di San Gennaro, vestiti di drappo d’argento con bottoni d’oro, con cappello nero a piume rosse, calze bianche con fiori d’oro e scarpe nere, un manto color porpora con gigli d’oro e una collana d’oro al collo; i cavalieri di San Ferdinando, vestiti di drappo d’oro, con calze bianche e fiori d’oro, cappello orlato d’oro e manto azzurro a ricami d’oro; i cavalieri Costantiniani, in seta bianca e celeste, con calze bianche e scarpe anche bianche con lacci celesti, e cappello di velluto rosso, sul quale spiccava una croce col motto: in hoc signo vinces e sopra l’abito un manto di raso celeste, avrebbero formato tale un insieme di pompa e di splendore attorno alla famiglia reale, da far credere ad una resurrezione di principi, abitanti in palazzi incantati. Ma, da molti anni, la divisa era stata smessa, ed usavano solo una placca o una fascia, secondo i gradi. Ferdinando II, nelle grandi occasioni, portava il Toson d’oro, la fascia di San Ferdinando e al lato sinistro del petto le placche dei suoi cinque Ordini. Ordinariamente, sull’uniforme portava il crachat di San Ferdinando, che egli visibilmente preferiva a tutte le altre onorificenze sue. Il Re stesso, a rendere ancora più rigorosa la concessione degli Ordini cavallereschi di San Gennaro e San Ferdinando, aveva istituita e poi riordinata, la real commissione dei titoli di nobiltà, nominandone presidente il marchese Imperiale di Francavilla; vice-presidente il principe di Luperano, che aveva per moglie la figlia del maresciallo Iourdan, donna d’ingegno e colta, e consiglieri ordinarii, fra gli altri, i principi di Sant’Antimo, di Belmonte, di Ottajano e di Scaletta, il duca di Cajanello e il conte di Montesantangelo; e fra i consiglieri supplenti, il duca della Regina e il duca di Cassano. A questa commissione erano deferiti tutti i casi, nei quali si trattasse di passaggio o di trasmissione dei titoli nobiliari; essa aveva il diritto di ricercare la legittima investitura dei titoli, di cui alcuno facesse uso, e nessuno poteva usare titolo di sorta, se prima la commissione non ne avesse dichiarata la legittimità e il Re non avesse dato il sovrano beneplacito. Più concludente dell’odierna Consulta Araldica, questa commissione riusciva ad impedire la ciarlatanesca pompa di titoli nobiliari fittizi, che oggi fa un degno pendant col triste abuso, dei nuovi titoli cavallereschi.