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riale metallurgico per l’artiglieria, a Napoli si fondevano i cannoni, a Torre Annunziata si facevano i fucili, a Pietrarsa le macchine per i legni da guerra, a Scafati le polveri, a Capua c’era un opificio pirotecnico e a Napoli un ufficio topografico, diretto dal colonnello del genio Visconti, matematico di gran valore. A Castelnuovo esisteva una sala d’armi antiche e moderne, abbastanza importante.

Una ripartizione delle milizie in divisioni territoriali e corpi d’armata non esisteva. Ogni provincia aveva un così detto comandante delle armi, ma le armi mancavano. Il comandante delle armi non disponeva che di una compagnia di gendarmi e di una compagnia di soldati, detti provinciali. Vere guarnigioni di milizie attive si trovavano in Sicilia e in Terra di Lavoro. Tra quei comandanti v’era ancora qualche vecchio e valoroso ufficiale, che non tollerava le esorbitanze poliziesche degli intendenti e perciò cadeva in disgrazia o veniva addirittura messo in riposo.

Ricordo il generale Giovanni Rodriguez, comandante della provincia di Siracusa, già colonnello del valoroso decimo reggimento di linea in Lombardia, nel 1848; il generale Tommaso Romano, antico e bravo ufficiale di Murat, ferito più volte in guerra, che nel 1856 si levò animosamente in difesa di monsignor Caputo di Lecce, e il generale Antonio Veltri, comandante negli Abruzzi. Le truppe del continente erano concentrate fra Gaeta, Caserta, Capua e Napoli, e i comandi generali divisi in due: uno per i dominii del continente ed un altro per la Sicilia. Il posto del comandante generale per il continente era in quegli anni vacante: ne faceva le veci il brigadiere Gaetano Garofalo, capo dello stato maggiore. Le truppe in Sicilia ubbidivano a don Paolo Ruffo, principe di Castelcicala, maresciallo di campo e luogotenente del Re. Dei fratelli del Re, il conte di Trapani, col grado di brigadiere, figurava fra gli aiutanti generali; maresciallo di campo onorario era il conte di Siracusa.

La segreteria particolare del Re aveva per capo il colonnello D’Agostino e vi scriveva le lettere particolari del Re, il maggiore Severino. Prestavano anche servizio presso il Sovrano il colonnello Rodrigo Afan de Rivera, i maggiori Tommaso de Angelis, Anzani e Felice de Schumacher e figuravano, tra i marescialli di campo, il marchese Del Carretto, quasi decrepito, il