Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) I.djvu/172


— 156 —

nire Ferdinando II, circondato dal suo Stato maggiore, fece riunire tutte le fanfare in piazza della Malva, quella stessa ora ridotta a giardino pubblico ed ivi, al tocco dell’Ave Maria, scovrendosi il capo, ordinò che al suono delle musiche, tutte le truppe rendessero in ginocchio ringraziamento a Dio della giornata trascorsa. In tal modo finì la così detta Guerra finta, di cui rimane viva la memoria a Pozzuoli.


Il Re era il capitano generale, cioè il capo supremo dell’esercito, ma più che a ravvivarne lo spirito, studiava di renderselo devoto. Compì alcune riforme più apparenti che reali, più meccaniche che organiche. Non pochi ufficiali superiori erano vecchioni, e chi non ricorda quel tenente generale Massimo Selvaggi che destava quasi la pietà o l’ilarità di quanti lo vedevano nelle parate, reggersi con grande fatica a cavallo? Gli ufficiali venivano in gran parte dalla bassa forza e avanzavano lentamente nella carriera, e solo in età tarda, o quando soverchiamente adiposi, guadagnavano le spalline. Le promozioni erano fatte per anzianità, e su ruolo unico, nelle diverse armi. Altri ufficiali erano forniti dalle guardie reali a cavallo, senza regolari promozioni, ma per semplice grazia del Re. Buoni ufficiali, ma in troppo scarso numero per la quantità dei soldati, uscivano dal Collegio militare della Nunziatella, dove, in ogni tempo, insegnarono professori come Basilio Puoti, Francesco de Sanctis, Paolo Tucci e Tommaso Mandoj. Agli ufficiali il matrimonio era permesso, purché la dote della sposa non fosse minore di 4000 ducati; e quando era al di sotto di questa somma, non mancava la grazia sovrana. E come avrebbe potuto muovere in guerra un esercito, comandato da uno stato maggiore decrepito o vecchio? Ferdinando II non si diede mai pensiero dell’eventualità di una guerra, perchè si credeva sicuro in casa sua.

Egli non si preoccupava che dei moti interni e per reprimere questi, l’esercito soverchiava; e c’erano poi gli svizzeri. Nonostante però il numero esagerato dell’esercito e la devota soggezione di questo, parrà strano, ma Ferdinando II non aveva vera fiducia che nei reggimenti svizzeri. Questi erano quattro, raccolti nei Cantoni principalmente cattolici. Entrarono nel Regno quando ne uscirono gli austriaci, cioè nel 1825, e le capitolazioni furono fatte per trent’anni col governo federale dal