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contadini e popolani, per i quali nulla rappresentavano i bisogni morali, tutto i materiali. Chiunque poteva, sottrarsi al servizio militare con dugento ducati o cambii di persona, consentiti dalla legge, ma i più se ne sottraevano con infinite malizie. La professione delle armi non apparteneva più alla vecchia nobiltà del sangue, secondo le tradizioni della Monarchia napoletana. Le stesse guardie del corpo a cavallo, addette alla persona del Re, formate dapprima da giovani, i quali dovevano avere i quattro quarti di nobiltà, ora eran composte da figli di generali, d’impiegati, appartenevano a famiglie nobili di provincia; nè i capi erano più i gloriosi resti delle guerre napoleoniche. Tranne Filangieri, Ischitella, Castelcicala e Carrascosa, i capi dell’esercito erano di fatto i figliuoli dei compagni di Ruffo, o i rampolli di famiglie nobili ridotte al verde, o alcuni di quei vecchi arnesi del tempo di Murat: uomini senza fede politica, servitori dei Borboni, che disprezzavano in segreto, ma temevano per necessità d’impiego. Quest’esercito aveva acquistato un certo spirito di corpo, come ho detto. Era venuto in superbia per aver soffocata la rivoluzione il 15 maggio, e poi riconquistata la Sicilia e domata la Calabria; perchè sentiva di essere l’unico sostegno della dinastia; perchè vedeva tutte le cure del Re ad esso rivolte. La stessa animosità pubblica, da cui si sentiva colpito, contribuiva non poco a stringerlo più dappresso al trono. Inoltre, l’esser cresciuto di numero lo faceva credere più valoroso. Esercito dinastico, anzi personale di Ferdinando II, esso temeva il Re, disprezzava il proprio paese e odiava la libertà. La rozzezza e la spavalderia prevalevano nei soldati e nei capi, ma soprattutto nei capi.
Il Re più che vere virtù militari ebbe, contrariamente al padre e all’avo, pronunziate tendenze soldatesche, fin dalla prima gioventù. Si racconta che l’avo, volgarissimo spirito, privo di ogni senso di dignità umana, dicesse un giorno al nipote giovinetto, occupato a studiare alcune modificazioni da introdursi nelle divise dei soldati: "Vestili come vuoi, fuggiranno sempre„. Ancora si ricordano in Napoli alcuni versi in dialetto, nei quali Ferdinando I risponde a taluni, che gli consigliavano di affidarsi agli alleati: "Tu che malora dici? fujono chiù de me„.1 A Fer-
- ↑ Tu che malora dici? Fuggono più di me.