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latore di tutt’i seccatori e di tutti gl’insuccessi teatrali, esclamò:

Neron dannava a morte le persone,
Che alle commedie sue avean dormito;
Se questa era l’usanza di Nerone,
Fortuna che la "Maschera„ è di Tito.

Nel 1859 vi cadde la commedia di Gherardi del Testa: La pagheremo in due. Tra gli spettacoli di quegli anni ricorderò, fra i più fortunati, il Cavalier d’industria del Martini, la Gismonda da Mendrisio di Silvio Pellico, l’Elnava di Michele Cuciniello, e un proverbio dello stesso Laviano Tito, Dopo la pioggia il sereno. Ebbero esito fortunato la Margherita d’Orbey di Gustavo Pouncha in e la Pia dei Tolomei di Marenco, non che Il cuore tira la mente di Saverio Mattei, che vi rappresentò Ferdinando Galiani quando era segretario dell’ambasciata napoletana a Parigi. Non ebbe sorti felici la Leggerezza di Raffaele Colucci e suscitò vivaci discussioni la Medea del Ventignano, che la Sadowski volle esumare per far piacere alla haute napoletana. Le discussioni furono lunghe e vivaci, anche per la fama dell’autore. Pietro Laviano Tito e Stanislao Gatti dissertavano sulle fonti, dalle quali si attinsero i fatti della sventurata e colpevole regina della Colchide e anche sulle più famose artiste, che l’avevano a volta a volta rappresentata, la Pellanti, la Marchionni, la Ristori e la Sadowski, ricercando quale di esse aveva saputo rappresentar meglio il personaggio della protagonista, il modo come si conosceva il mondo greco e donde il Ventignano trasse il suo dramma, se lo trasse più da Eschilo che da Sofocle, e se quanto vi era di più greco e di tracio nella rappresentazione spettasse più all’autore, che all’arte della Ristori. Persino il duca Proto ne scrisse una noiosa epistola alla duchessa Teresa Ravaschieri.


Al Teatro Nuovo l’impresario Musella riapri la stagione del 1858 con la Maria de Rohan; il pubblico si annoiava a Cicco e Cola e a Ser Pomponio, ma applaudì Paolo e Virginia del maestro Aspa, l’Elmava e i Pirati spagnuoli del Petrella e una nuova musica del maestro Pappalardo, l’Atrabilare, la quale visse assai poco. La Fenice inaugurò la stagione del 1858 con la Pazza del Vesuvio di Federigo Riccio, e nello stesso tempo destava furore al San Carlino la parodia delle crinoline e