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le rime, perchè fosse sottoposto alla revisione. Il duca di Ventignano, deputato della sopraintendenza dei teatri, respinse il libretto, perchè non in versi e non in rime. L’impresa sperando di compor tutto, per non infastidire il maestro, non gli fece saper nulla di quest’incidente, anzi continuò a sollecitarlo, perchè finisse il lavoro e venisse a Napoli a metterlo sulle scene. E Verdi, il 14 gennaio del 1858, andò a Napoli, dove seppe che i revisori avevano rifiutata l’approvazione del libretto ed erano ostinati a non voler recedere. Dopo più di un mese però la concessero, ma con tali mutazioni, che il Verdi, indignato, non ne volle più sapere e si dichiarò sciolto dal contratto. Cosi non l’intendeva l’impresa, che citò in giudizio il maestro, affermando irragionevole il rifiuto della consegna della musica e della messa in iscena, e chiedendo danni e interessi e persino l’arresto personale di lui. Verdi non andò in prigione, ma i napoletani non udirono il Gustavo III.
Gli altri teatri erano dai critici riguardati con maggior benevolenza, forse perchè più del San Carlo si adoperavano a soddisfare i varii gusti del pubblico. Nel 1857 andò in iscena, al Fondo, la Medea del Legouvè, con la Ristori che destò fanatismo. Ebbe incredibili dimostrazioni di fiori, di sonetti e di epigrammi. La Rachel, venuta a Napoli due anni avanti, vi aveva essa pure rappresentata la Medea e Giuseppe Lazzaro, critico teatrale d’occasione, paragonò la Ristori alla Rachel, giudicando la Ristori superiore alla famigerata francese. La Ristori rappresentò pure al Fondo la Pia dei Tolomei, la Locandiera e la Fedra. Fu pubblicata una raccolta di versi e di prose in lode di lei, e vi scrissero parecchi. Saverio Baldacchini vi stampò una poesia, di cui ricordo quest’ottava, iperbolica e finamente adulatrioe:
Oh, la superba, imperial Parigi |
Se l’elegante e sereno poeta cantava così, immaginiamo gli altri. Credo che nessuno dei maggiori artisti ricevesse a Na-