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che richiedevano altre energie giornalistiche; anzi il Diorama morì anche prima. Si pubblicava due volte la settimana.


Nel 1854, alla fine di giugno, nacque Verità e Bugie, giornaletto teatrale e umoristico, che ebbe fortuna, nonostante che il suo spirito, non privo qualche volta di finezza, cadesse più sovente nelle freddure e nelle volgarità. Lo fondarono Niccola Petra, Luigi Coppola e Carlo de Ferrariis, i quali presero rispettivamente le sigle di Z, Y e X. Nella terza pagina si pubblicavano alcune caricature in litografia, credo del Colonna, ma il tentativo non ebbe successo. Dopo poco tempo, Petra e De Ferrariis ne uscirono e vi entrò Michelangelo Tancredi, che si firmava K, e vi ebbe molta parte. Vi scriveva pure Giuseppe Rosati, che fu più tardi direttore della Real Casa di Napoli, uomo di vivace spirito, figlio di don Franco, primo medico di Corte, anzi medico di fiducia di Ferdinando II. Niccola Petra era figlio del marchese di Caccavone, ma, pur avendo ingegno svegliato, non possedeva la genialità, nè la larga vena umoristica del padre, onde fu dal duca Proto bollato con questo epigramma:

Perchè figliuol tu sei del Caccavone
Le tue frottole credi argute e buone;
Lo spirito non è fidecommesso:
Smetti, Nicola mio, tu si no f....


Scrisse versi, drammi ed epigrammi, i quali ebbero poca fortuna; studiava diritto col De Biasio, ma il maggior tempo consacrava al giuoco. Fu, dopo il 1860, procuratore del Re, questore e prefetto. Visse vita turbolenta e agitata, per mancanza di equilibrio morale e si diè la morte avvelenandosi, poco più che cinquantenne. Il giornaletto Verità e Bugie era une espèce de Figaro napolitain, quelquefois spirituel, come disse Marco Monnier. Ai vecchi collaboratori si aggiunse Enrico Cossovich, commissario di marina. Luigi Coppola ne era il proprietario e, col Tancredi, lo scrittore principale; anzi era questi che nella produzione vinceva il Coppola, in quel tempo innamorato cotto della seconda ballerina di San Carlo, la bella Marina Moro, alla quale inneggiava appassionatamente.

Il giornaletto aveva in prima pagina, per motto, questi versi: