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mite e aveva rigori più apparenti che reali, e monsignor Frascolla, rigorista non da burla, aveva una dose di fanatismo, per cui ebbe condanna di carcere e multa nei primi tempi del nuovo regime. Monsignor Jannuzzi era succeduto in Lucera a monsignor Portanova. Aveva un vicario, certo Castrucci, il quale diè motivo di pubblico scandalo per la tresca con una donna della diocesi, che il vescovo fece poi sposare al suo cameriere, allontanando, quando l’opinione pubblica glielo impose, il troppo caldo vicario. Monsignor Jannuzzi, che apparteneva a ricca e civile famiglia, fu debole coi sacerdoti audaci e forte coi deboli, fino al punto da far arrestare dalla gendarmeria a cavallo, appositamente chiamata da Foggia, quattro sacerdoti della collegiata di San Domenico, che si erano messi in urto con lui e col capitolo, per certi privilegi che vantavano. Li fece tradurre nelle carceri di Foggia. Ma in fondo era buono e generoso, e tutte le sue entrate impiegava a vantaggio della chiesa. Rifece il seminario, chiamandovi professori egregi, ma odiava i liberali, nè volle mai interporre i suoi buoni uffici a favor loro, anzi sopravvive in Lucera una sua frase: "Li mando a Tremiti„.

Del resto, tranne pochi fanatici, i vescovi non facevano politica, benchè giurassero di rivelare all’autorità tutti coloro, che erano ritenuti pericolosi alla sicurezza dello Stato. Sisto Riario Sforza era molto amato per il suo zelo di pastore e l’esemplare costume. Fu vero apostolo di carità nel colera del 1854 a Napoli. Cortese, generoso, uomo di governo e, all’occorrenza, arguto senza volgarità. Ricordo un aneddoto. Il municipio di Napoli ha il patronato della cappella di San Gennaro in duomo, e il sindaco è presidente della commissione, detta del Tesoro. In alcuni giorni di funzioni solenni, il sindaco si reca alla cappella, e prima sale dal cardinale arcivescovo, per andarvi insieme. Quando Guglielmo Capitelli fu sindaco di Napoli, la prima volta che andò dal Riario Sforza, per tale cerimonia, vi giunse in ritardo e, nell’inchinare il cardinale, sdrucciolò sul pavimento e stette per cadere. Riario Sforza lo sorresse con le mani che aveva bellissime, e sorridendo gli disse: “È un municipio vacillante„; e il Capitelli, pronto: “Forse, ma la Chiesa lo sorregge„. Riario Sforza mori nel 1877.

Abate di Montecassino era don Michelangelo Celesia, oggi cardinale e arcivescovo di Palermo; don Onofrio Granata era